di Pierfrancesco Malu
Di solito, in queste situazioni, verrebbe da dire “mal comune mezzo gaudio”, ma non è questo il caso. Ci troviamo, anzi, in prossimità di un cambiamento pressochè unico dalla comparsa dell’Homo sapiens sulla Terra. Secondo uno studio della prestigiosa rivista scientifica Lancet, infatti, la riduzione della popolazione italiana di cui abbiamo già parlato, rientra (come caso da maglia nera) nell’ambito di una più ampia contrazione della popolazione mondiale che, dal picco atteso attorno al 2064, dovrebbe ridursi di 2 miliardi attorno al 2100. A quella data, poi, la popolazione italiana dovrebbe essere dimezzata rispetto a quella attuale riducendoci ad una potenza di piccola portata. Tutto questo senza tenere conto dell’eventualità di altre pandemie, guerre e senza una politica liberale per quanto riguarda l’immigrazione.
Il XXI secolo porterà, quindi, una nuova profonda mutazione per la popolazione e la civiltà umana. Su scala globale, secondo lo studio di Lancet, si scenderà dagli attuali 2,37 figli per donna a 1,66 a fine secolo, dunque al di sotto della soglia necessaria a mantenere una popolazione costante fissata a 2,1. I ricercatori prevedono infatti che la diffusione di livelli educativi più elevati e delle tecniche di contraccezione continueranno ad alimentare il calo della fecondità. Il calo sarà compensato solo in parte dall’aumento dell’aspettativa di vita, che si avvicinerà agli 80 anni a livello globale.
Gli effetti economici di questa riduzione coinvolgeranno l’Italia ancora più degli altri paesi facendo retrocedere la nostra economia al 25° posto al mondo, una decrescita che coinvolgerà solo marginalmente altri Stati come Francia e UK. Allo stesso modo, la forte contrazione delle nascite in Africa sarà però compensata da una radicale riduzione del tasso di mortalità permettendo al continente di triplicare la sua popolazione.
Ora, anche se lo studio del Lancet delinea uno scenario di lungo periodo, le premesse di quanto atteso nel 2100 sono già oggi visibili. L’aspetto positivo è però che evidenzia le principali criticità dei vari paesi di modo che questi possano già oggi individuare le strategie impattanti per farvi fronte.
Prima su tutte, sarà necessaria una seria politica rivolta all’immigrazione e all’integrazione nella nostra società. L’ostracismo di questi anni a riguardo non produce altro che effetti contrari al nostro sviluppo sociale ed economico che, anzi, contribuiscono a sfaldarne ulteriormente i tessuti. Parallelamente a questo, in mancanza di una base di cittadini sufficientemente ampia, lo Stato sociale al quale ci siamo abituati negli ultimi decenni dovrà necessariamente essere ripensato in una forma più ridotta.
Una prima soluzione tampone a questo scenario deve essere l’implementazione degli strumenti digitali sia nella pubblica amministrazione sia nelle attività private che offrono servizi ai cittadini. Priorità di questa linea d’azione dovrà essere, infatti, la semplificazione delle procedure unita ad una maggiore efficienza tanto delle risorse quanto del capitale umano. Un esempio dal quale prendere un primo spunto è quello giapponese che da anni cerca di contrastare con l’automazione e una maggiore efficienza (Vending machine, un fenomeno sociale) il progressivo invecchiamento della popolazione.
Queste iniziative, tuttavia, per quanto siano in grado produrre alcuni effetti importanti di sostegno economico e sociale non possono considerarsi sufficienti a contrastare il declino cui fa cenno il Lancet. La priorità è quella di avviare immediatamente politiche di sostegno all’occupazione giovanile e femminile ed incentivi alle nuove famiglie. Il salvataggio del nostro tessuto sociale (e quindi anche di quello economico) non può prescindere dalla sua stessa preservazione che ponga le basi per il suo rilancio.