di Pierfrancesco Malu
Da un sondaggio condotto da SWG (dati rilevati a cavallo del mese di aprile) emergono risultati sorprendenti. Alla domanda “con chi si deve alleare l’Italia?” Il 36% risponde “con la Cina”, mentre il 30% “con gli USA”, e il resto non risponde. Questo dato è rafforzato dalle opzioni degli intervistati su quelli che considerano “i paesi amici”: ben il 52% sceglie la Cina (con un +42% rispetto al 2019), cresce la Russia con il 32% delle opzioni (+17% rispetto al 2019), terzi ed ultimi gli USA con un misero 17% di preferenze (-12% rispetto al 2019). Il quadro si completa se guardiamo alla graduatoria dei paesi nemici. Ben il 45% indica la Germania e il 38% indica la Francia, a conferma degli effetti emotivi delle diffuse tendenze antieuropee sulla popolazione, arricchiti dal dato sull’indice di gradimento dell’Unione Europea presso gli Italiani che è del 35% (Sondaggio Diamanti su Repubblica del 3 maggio).
Certo, i sondaggi, a volte, possono subire l’influenza degli umori del momento ma è anche vero che non è possibile ignorare un cambiamento delle “simpatie” degli italiani piuttosto rilevante che, in parte, ribalta oltre 70 anni di quasi indiscussa appartenenza all’Europa e all’Alleanza atlantica.
Di fatto, la Cina è vista non solo come un Paese amico (anche in virtù dell’enfasi riservata agli aiuti ricevuti per fare fronte all’emergenza sanitaria) ma, sempre di più, come un modello da imitare sotto vari aspetti, e quello della sorveglianza di massa della popolazione ne è solo l’ultimo.
Vediamoci chiaro anche dietro questo aspetto. In realtà, il modello di controllo che il governo cinese esercita sui propri cittadini è ben più stringente e condizionante di quanto noi potremmo mai immaginare. In 43 città cinesi, infatti, è in corso di sperimentazione un sistema che viene definito “credito sociale”, una vera e propria maxi operazione di schedatura e controllo della popolazione su vasta scala che arriva fino a condizionare le azioni di ogni individuo coinvolto attraverso un elaborato sistema di premi e punizioni. Al compimento dei 18 anni, infatti, al novello maggiorenne sono assegnati 1000 punti di credito sociale. Tale punteggio può crescere o diminuire a seconda delle azioni compiute dalla persona: se, ad esempio, si fanno azioni socialmente utili – come donare il sangue o segnalare un malvivente – si ricevono punti premio, se, invece, si sporca la città o si attraversa col rosso, il punteggio è decurtato. Se, a prima vista, e ignorando quasi del tutto l’aspetto riguardante il fitto controllo nei confronti del singolo individuo, si possa ritenere tutto sommato utile un sistema nato sostanzialmente per incentivare i comportamenti virtuosi del vivere quotidiano (che da noi potrebbe, ad esempio, essere applicato nel fare correttamente la raccolta differenziata o gettare i rifiuti indistintamente), a preoccupare sono le sanzioni che possono arrivare a determinare le disgrazie e l’esclusione sociale della persona coinvolta.
In alcuni casi, infatti, la grave perdita di punti per azioni considerate (a volte a discrezione) controproducenti per la società possono impedire l’acquisto di beni, l’apertura di attività imprenditoriali; limitare negli spostamenti e, a tutti gli effetti, portare via ai soggetti coinvolti buona parte dei più normali diritti civili.
È chiaro, quindi, che, partendo da un’oggettività comprovata, la discrezionalità ricopre un ruolo preponderante nello stabilire le fortune delle persone e ci si potrebbe trovare in disgrazia per idee politiche considerate non del tutto in linea, o per aver pacificamente dissentito rispetto a qualche decisione dell’autorità centrale e via dicendo.
Ora, lungi anche dall’entrare approfonditamente nel dibattito sui limiti alla privacy – o meno – che potrebbero essere determinati dall’utilizzo di una app per il tracciamento, è chiaro che nessun italiano vorrebbe che vigesse anche da noi un tale sistema ma, proprio per questo dovremmo tutti imparare a soppesare attentamente le nostre opinioni, perché queste potrebbero determinare importanti scelte di campo in politica estera, tali da determinare il nostro futuro.
In questa fase storica, fatta di accuse, scontri e conflitti striscianti in ambito politico e tecnologico tra USA e Cina non possiamo permetterci più – detto banalmente – di “tenere il piede in due scarpe”. La Cina è, senza dubbio, un importante partner commerciale col quale abbiamo il dovere di collaborare attivamente, ma da qui a considerarlo un modello ce ne passa. L’Italia ha una tradizione democratica che affonda le proprie radici in un preciso corpus giuridico che garantisce le libertà personali al di sopra di qualsiasi altro diritto. Per questo, ben vengano anche le app di tracciamento – a patto che garantiscano riservatezza e tutela dei dati – ma che ciò non trascenda mai in uno Stato di polizia di cui, francamente, non abbiamo davvero bisogno.