Stasera (con ogni probabilità), in linea con la passione cristiana che si sta raccontando in queste ore, il premier Conte farà l’ennesima conferenza stampa che annuncia il prolungamento del lockdown, aprendo a ristrettissime concessioni per poche, pochissime attività.
Nei giorni scorsi, ci eravamo illusi che la decrescita del contagio fosse l’inizio del declivio e che avremmo potuto allentare le misure restrittive, invece, non sarà così. Posto che è ancora tutto da verificare nei fatti, la chiusura praticamente totale sarà prorogata fino al 3 maggio, sempre più vicini a quella data del 16 maggio che il capo della Protezione civile Borrelli aveva citato qualche giorno fa.
Prima o poi, comunque, non si sa in quali condizioni, fisiche, psicologiche ed economiche, il nostro Paese entrerà nella fatidica fase 2.
Un periodo la cui durata è ancora un mistero in cui dovremo necessariamente applicare accorgimenti e ulteriori restrizioni per evitare la rapida ripartenza dei contagi. Ebbene sì, perché l’azzeramento totale dei contagi è praticamente impossibile, almeno in tempi ragionevoli, l’unica cosa fattibile è tenere sotto controllo ciò che sta avvenendo e il punto di partenza migliore sarebbe quello di capire quanti contagiati reali ci sono in Italia. Alcuni studi parlano di 6 milioni di persone, ma le stime ufficiali dicono che sono – totali – meno di 200 mila dall’inizio della pandemia. Una discrasia macroscopica che suggerisce prudenza. In conseguenza di ciò, non potremo davvero riaprire non solo fino a quando avremo raggiunto il famoso fattore R0 di contagio ma anche fino a quando non avremo capito quanti e quali sono i potenziali contagiati pronti – inconsapevolmente – a far ripartire nuovi focolai. All’Italia, diventata suo malgrado caso-pilota sotto gli occhi del mondo intero che la segue a ruota nell’onda dei contagi, spetta anche in questo caso l’onere di tracciare la rotta, questa volta della ripresa.
Il ministro della Salute Speranza – alle prese insieme a tutto il Governo con una delle decisioni più difficili della storia – ha appena ricevuto dalla commissaria Ue alla Salute Stella Kyriakides una prima anticipazione del documento con cui l’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) mette in guardia da allentamenti delle misure.
«È troppo presto – spiegano gli esperti europei – per abbandonare il distanziamento sociale nei Paesi Ue. Che prima dovrebbero assicurarsi di possedere adeguati ed efficaci sistemi di testing e sorveglianza della popolazione in grado di guidare e modulare le strategie di potenziamento o di allentamento delle restrizioni».
In ogni caso – ha detto Guerra consigliere dell’OMS e membro del Comitato tecnico-scientifico consulente del governo – la raccomandazione sarà sicuramente di riaprire per fasi, a partire da quando ci saranno le condizioni minime: un primo via libera iniziale e poi un secondo step a distanza di un paio di settimane. L’idea è di procedere con riaperture successive così da poter contenere l’eventuale riaccendersi della fiammata epidemica a causa della prima o della seconda o della terza riapertura in serie».
Facendo due rapidi calcoli, sarebbe troppo rischioso allentare prima di fine maggio.
Nell’impossibilità di prevedere il giorno del ‘contagio zero’, il modello predittivo costruito dalla Fondazione indipendente Gimbe, attiva nel settore sanitario, prevede che il 16 aprile l’aumento dei casi scenderà al 2%, il 27 aprile all’1%, il 7 maggio allo 0,5% e il 2 giugno allo 0,1%, soglia utilizzata a Hubei per allentare le misure in base all’andamento dei contagi.
In seguito, sarà indispensabile una rigorosa opera di “tamponamento” e di monitoraggio di nuovi eventuali focolai, con le macroscopiche differenze che suggeriscono che il nostro modello non può essere quello della Cina.
Insomma, dobbiamo stringere i denti e sperare che una fase di normalità almeno apparente possa arrivare entro la fine dell’estate, così da permettere di far ripartire ciò che rimane dell’industria del turismo e delle attività produttive nazionali.