di Pierfrancesco Malu
In alcuni articoli già pubblicati, abbiamo ampiamente mostrato il ruolo egemone che la Cina da alcuni decenni ha progressivamente conquistato nel continente africano.
Un’egemonia che ha tracimato i confini anche verso occidente andando ad influenzare anche le economie europee.
Ebbene, in questa fase, la risposta dell’Unione Europea è indirizzata a contenere l’espansionismo economico e culturale cinese nel continente africano.
Il presidente Ursula Von der Leyen sta lavorando alacremente per interporsi tra la Cina e l’Africa e in questa direzione sono indirizzati gli sforzi diplomatici profusi negli ultimi mesi e la stesura del documento sulla strategia UE – Africa che dovrebbe essere reso pubblico nel corso di questo mese.
La strategia europea è sostanzialmente tesa a superare la fase post colonialista degli investimenti in sviluppo in luogo di una nuova serie di iniziative in partnership paritaria sui filoni della crescita sostenibile e commercio, pace e sicurezza, migrazione e cambiamento climatico.
La competizione internazionale sull’Africa, quasi come se fosse una moderna e meno aggressiva corsa allo scrambled del continente, vede l’UE, attualmente, avvantaggiata rispetto agli agguerriti competitor. L’Africa commercia con la UE beni per 235 miliardi di euro (il 32% del totale), contro i 125 miliardi della Cina e i 46 degli Stati Uniti. Anche per quanto riguarda gli investimenti diretti, l’UE è in vantaggio sui concorrenti: 222 miliardi contro i 42 e 138 rispettivamente di USA e Cina. È chiaro che non bisogna adagiarsi sugli allori e che sia necessario un intervento repentino, anche perché la rilevanza che, ad esempio, la Cina svolge nel continente africano è ben più forte di quanto si possa evincere dai numeri sopra elencati.
Ora più che mai, anche l’Italia potrebbe trarre vantaggio da un ulteriore avvicinamento dell’UE all’Africa. Il nostro Paese, infatti, come sentiamo dire da sempre, ha una naturale vocazione mediterranea e potrebbe essere il tramite ideale per gli scambi con questo continente. I margini di crescita ci sono tutti, anche perché, attualmente, secondo l’Ice le esportazioni italiane in Africa sono solo del 4,3% e il nostro Paese così come tutti quelli facenti parte dell’UE potrebbero sfruttare l’avvio della Continental free trade area, la nuova area di libero scambio composta da 54 paesi africani.
Da parte loro, i membri dell’Unione Africana aprono al dialogo ma puntualizzano che non si potrà parlare dell’imposizione di un modello su un altro ma di un concerto di iniziative volte alla crescita comune. Il passato coloniale che molte nazioni europee hanno avuto in vari paesi africani condiziona necessariamente i rapporti, soprattutto quando alcuni di questi, come la Francia, continuano ad avere una rilevante presenza economica e militare su alcuni di quei paesi ormai formalmente del tutto indipendenti.
L’UE ha necessità di un nuovo approccio più soft e che non faccia irrigidire le controparti africane, coinvolte, anzi, nel processo di negoziazione. Come indicato da Alberto Magnani sul Sole 24Ore di domenica primo marzo, vi è il timore che “l’UE possa subire la concorrenza diretta del metodo cinese nel suo approccio all’Africa; mentre Bruxelles spinge per accordi multilaterali, Pechino intercetta esigenze più immediate con contratti ad hoc e meno paletti rispetto ai criteri di trasparenza imposti da Bruxelles”. Chiaramente, l’UE non deve snaturare le sue peculiarità e rinunciare ai suoi principi per apparire come un partner più accattivante, tanto è vero che come dice lo stesso Magnani il “multilateralismo potrebbe offrire maggiori garanzie e favorire la coesione interna alla stessa Unione Africana”.
In questa direzione saranno orientate le iniziative europee che con il nuovo piano per la digitalizzazione e il green deal puntano a rivoluzionare completamente la visione dell’economia africana come un grande e vero partner che supporta la crescita sua e dei suoi sodali.