E se la blockchain servisse anche a tutelare direttamente il PIL? E’ questa la convinzione di Erik Swords, gestore del Bny Digital Assets Fund, il quale ha dichiarato recentemente al Corriere economia che “entro il 2027, fino al 10% del PIL potrebbe essere conservato attraverso la blockchain”.
Conservare, in questo caso, significa anche valorizzare e accrescere le potenzialità della propria economia, un fatto tutt’altro che trascurabile se concepito in una fase economica generale non certo rosea.
Secondo le stime, infatti, la creazione di valore potrebbe aggirarsi attorno ai 3.100 miliardi di dollari entro il 2030. Si tratta quindi di un investimento nel tempo che però garantisce un rientro praticamente certo e, soprattutto, sicuro, proprio in virtù delle caratteristiche stesse proprie della blockchain. La versatilità dello strumento tecnologico permette di poter spaziare e accrescere valore dalle iniziative sociali a quelle ambientali, senza trascurare le imprese direttamente legate al mondo degli affari.
La semplice, ed immediata, tracciabilità dei prodotti permetterebbe, secondo Swords, di salvaguardare interi comparti economici danneggiati da truffe, traffici illeciti, prodotti non conformi eccetera, ed è chiaro che tale intervento avrebbe dirette conseguenze sia sulle finanze sia sulla reputazione dell’azienda coinvolta. Un po’ come gli investimenti in sicurezza, anche quelli in blockchain sono come una sorta di assicurazioni che l’azienda (e lo Stato) fa sui propri beni più preziosi garantendo una redditività nel lungo periodo.
Insomma, la blockchain è una tecnologia che crea e tutela il valore permettendo anche la proliferazione di nuove opportunità e dell’intera filiera ad esse collegate.