La manovra 2022 dà l’addio definitivo al cashback. E il Mef spiega perchè. I commi da 637 a 644 dell’articolo unico della legge 234/2021 contengono l’abrogazione delle relative disposizioni previamente introdotte, finalizzate a riconoscere rimborsi in denaro per acquisti effettuati mediante l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici. Vengono contestualmente regolamentati la gestione e il completamento delle operazioni di rimborso e di rimborso speciale ancora in corso, attraverso lo stanziamento di apposito fondo per l’anno 2022. La relazione tecnica precisa sul punto che (i) dallo stanziamento originario previsto attraverso le originarie disposizioni norma sono stati decurtati, in via conservativa, 3 milioni di euro, da trattenersi sul fondo di cui all’articolo 1, comma 290 della legge n. 160/2019 a copertura degli oneri e delle spese di gestione a carico di PagoPa e Consap e che (ii) viene istituito presso lo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un apposito fondo con una dotazione di 3 milioni di euro per l’anno 2022. La stessa relazione afferma che le disposizioni determinano un risparmio di spesa di 1.499,25 milioni di euro per l’anno 2022. La relazione del 20 dicembre 2021, pubblicata dal MEF e volta ad orientare le azioni del governo finalizzate a ridurre l’evasione fiscale derivante da omessa fatturazione, contiene una analisi ex post di quello che è stato l’impatto delle misure sul cashback sulla tax compliance, in termini di miglioramento di quest’ultima. Dai dati raccolti e dalle stime effettuate si dà il caso che il c.d. “Progetto Cashback” abbia contribuito a stimolare i pagamenti elettronici ed a rafforzare la digitalizzazione del Paese, ma non sembra tuttavia aver conseguito effetti significativamente differenti per i settori a più elevata propensione all’evasione fiscale: sebbene, cioè, l’effetto del cashback in termini di aumento della digitalizzazione sia positivo e significativo, i dati non sembrano confermare un effetto generalizzato di arresto della spinta alla digitalizzazione a seguito della sua sospensione (abrogazione, i.e.). Gli interventi del cashback sono stati infatti orientati ad incoraggiare le transazioni con pagamenti elettronici, ma – si legge nella relazione – non sono né di entità sufficiente a promuovere il contrasto di interessi tra acquirente e venditore al fine di ridurre l’evasione con consenso, né mirati ai settori con maggiore propensione all’evasione. Anche considerando l’impatto positivo generalizzato del cashback e, quindi, includendo anche i settori a maggiore intensità di evasione, la misura risulterebbe in ogni caso molto onerosa e non strettamente “mirata” alle transazioni effettuate nei settori a più elevata propensione all’evasione. In altre parole, utilizzando una analisi costi-benefici, la valutazione ex post del Progetto Cashback ha fornito risultati che non suggeriscono di riproporne l’adozione come strumento “indiretto” di riduzione dell’evasione fiscale e dell’economia sommersa. Ciò per due ragioni: in primo luogo perché non può essere stabilita una relazione causale chiara tra gli incentivi previsti dal cashback e la riduzione dell’evasione fiscale; in secondo luogo, in quanto il costo del progetto in questione, pari a 4.75 miliardi di euro, risulta superiore alle potenzialità di recupero di gettito evaso. In conclusione, se da un lato il Progetto Cashback non è risultato essere sostanzialmente lo strumento più idoneo per contrastare l’economia sommersa e l’evasione fiscale da omessa fatturazione, dall’altro lato a tale misura va riconosciuto il merito – in ogni caso non sottovalutabile – di aver contribuito al rafforzamento della digitalizzazione dei pagamenti, obiettivo che resta tale e che pertanto merita di essere ancora perseguito in sé, in quanto riduce i costi di transazione ed aumenta la sicurezza del sistema dei pagamenti.
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