Il Presidente Consob Paolo Savona, in occasione della presentazione della Relazione annuale, torna a parlare di criptovalute e cripto asset in termini molti simili a quelli già evidenziati in precedenti occasioni, ribadendo però anche la necessità di provvedere ad una puntuale regolamentazione del fenomeno. Secondo Savona le criptocurrency sono diventate una minaccia per la tutela del risparmio ed e’ urgente affrontarle con regole nuove. Il presidente della Consob Paolo Savona lancia l’allarme ma offre anche la soluzione: cambiare l’architettura istituzionale, fatta di norme ed enti, oggi a presidio della protezione del risparmio. Savona parla del “fiume ormai in piena degli strumenti virtuali” con Internet che stima dalle 4 alle 5mila cryptocurrency in circolazione e “se a esse si applica l’esperienza fatta in poco tempo dalla Consob nell’oscurare in Italia centinaia di siti web che raccoglievano illecitamente risparmio, il quadro che ne risulta appare preoccupante”. Il problema nasce dall’opacita’ della tecnologia che assiste le criptovalute, la blockchain o catena di contabilita’ decentrata, che e’ impenetrabile alle autorita’ di vigilanza. Savona propone di intervenire in Italia con “strutture di consultazione formale tra organi di Governo e autorita’ indipendenti” per dare un indirizzo unitario alle scelte in materia. “L’informatica finanziaria e’ una lampada prodigiosa dalla quale e’ uscito il Genio. Le autorita’ non riusciranno a riportarlo dentro, perche’ esso agisce nella sfera immateriale (o infosfera) controllabile solo cambiando protocollo di scambio delle informazioni”. Il presidente della Consob avverte che “se la regolamentazione si limitasse a mettere sabbia nel meccanismo e, come ampiamente si discute, appagarsi nel tassare i guadagni ottenuti, la conseguenza potrebbe essere la continuazione della loro diffusione che potrebbe sfociare in una nuova crisi di mercato”. Ecco perche’ non si deve perdere tempo e “si impone la convergenza delle volonta’, superando timori ed esitazioni, verso una soluzione operativa che non soffra di troppi compromessi. Gli ‘avvertimenti’ rivolti agli investitori sui rischi che corrono operando in cryptocurrency non bastano piu’. Il tempo delle riflessioni e’ ormai esaurito e si deve passare alle scelte”. Infatti, sulla base del metro offerto dalla normativa vigente, “non è più possibile distinguere, con certezza tecnica e giuridica, in che cosa oggi consistano legalmente la moneta e i prodotti finanziari, un contenuto che si presenta interrelato per la connessione garantita dalle piattaforme di conversione tra strumenti virtuali e tradizionali. Il mercato usa un metro diverso da quello della normativa esistente, che richiede di essere in questa integrato”.
Nelle attuali condizioni, le autorità possono intervenire divenendo parti attive nell’infosfera, ossia utilizzando anch’esse i vantaggi delle tecniche digitalizzate; la loro azione risulterà più efficace se cooperano tra loro ma, per raggiungere lo scopo, devono comprendere innanzitutto i limiti e le possibilità nell’uso delle nuove tecnologie che la scienza dei dati e quella delle reti va sviluppando a ritmi incalzanti. “Alle condizioni che si sono affermate sul mercato, i soli ammonimenti sui rischi corsi dai risparmiatori o le stesse proibizioni risultano inefficaci”, ha ammesso il presidente della Consob.
L’attuale sistema degli strumenti criptati si regge sulla convinzione e convenzione dominanti tra privati, che ignorano il ruolo centrale che svolge nel buon funzionamento del mercato la natura legale della moneta come unico mezzo di scambio e di liberazione dei debiti. “La volontà espressa in più sedi dalle autorità di governo di voler cogliere le opportunità delle innovazioni tecnologiche non va intesa come un’accondiscendenza verso la perdita di trasparenza del mercato, ma la volontà di un suo recupero facendo uso delle stesse innovazioni finanziarie; perciò l’attitudine favorevole alle nuove tecniche va accompagnata con norme chiare sulla nascita e sugli scambi degli strumenti criptati e sui loro intrecci tra attività/passività monetarie e finanziarie tradizionali, siano esse già digitalizzate o meno, come guida indispensabile per gli operatori che gestiscono la liquidità e i risparmi”, ha indicato il numero uno della Consob.
La creazione via computer di moneta fiduciaria privata offre a chi la effettua (i cosiddetti minatori) la possibilità di disporre di un potere di acquisto. Savona ha, quindi, citato l’economista Richard Rasmussen, il quale ha scritto che “sarebbe estremamente ridicolo applicarsi per davvero a dimostrare che la ricchezza consiste nella moneta, o nell’oro e nell’argento, e non in ciò che la moneta acquista”.
Dunque, la funzione redistributrice, propria della democrazia, e quella produttiva-commutativa, propria del mercato, “risultano alterate dalla creazione di potere di acquisto digitalizzato, ancor più se collocato in una contabilità perfettamente decentrata. Nonostante la loro importanza negli equilibri sociali, le implicazioni etiche delle innovazioni finanziarie sul funzionamento della democrazia hanno finora ricevuto minore considerazione di altri aspetti del problema, quali il digital divide, la privacy e il diritto alla libera iniziativa privata”, ha osservato ancora Savona.
Al momento della nascita, il potere di acquisto degli strumenti virtuali è inesistente, non avendo dietro un rapporto economico di debito e credito, come ogni altra operazione che si realizza sul mercato, ivi inclusa la creazione di moneta legale che vede debitrice un istituto pubblico di emissione. Il rapporto di debito e credito si concreta solo al verificarsi dell’aspettativa che qualcuno accetti spontaneamente lo strumento virtuale creato e possa rivenderlo ad altri al momento opportuno. Solo le operazioni di scambio effettuate dopo aver “minato” le criptovalute generano un rapporto da iscrivere in una contabilità a partita doppia, ma la reale responsabilità del debitore “secondario” resta pur sempre incerta, avendo alla radice l’assenza di un debitore primario.
La diffusione degli strumenti virtuali ha sollecitato la nascita delle piattaforme tecnologiche che consentono modalità di accesso ai servizi di pagamento e di negoziazione in titoli più rapide e meno costose rispetto a quelle offerte dalle banche e dagli altri intermediari. Le funzioni di custodia e scambio da esse inizialmente svolte si sono evolute per accogliere operazioni sempre più articolate e complesse, ivi incluse la concessione di crediti garantiti da propri o altrui strumenti virtuali o la stipula di contratti derivati usando come collaterali le cryptocurrency, anche per più operazioni dello stesso tipo. “Questi nuovi comparti del mercato sono in rapida evoluzione e sembra ripetersi l’esperienza antecedente la crisi del 2008, quando i contratti derivati si svilupparono fino a raggiungere una dimensione di dieci volte il pil globale, assumendo forme complesse che ricevettero un rating elevato. Pur con le dovute distinzioni, è prevedibile che stia accadendo qualcosa di analogo nel mercato dei prodotti monetari e finanziari virtuali, soprattutto criptati”, ha avvertito.
Più che dallo strumento in sé stesso, il problema nasce dalla tecnologia usata, la blockchain o catena di contabilità decentrata. La sua forma originaria, quella usata dai Bitcoin nel 2009, è un circuito le cui informazioni restano confinate esclusivamente tra possessori dello strumento criptato, identificati da un codice numerico; le transazioni vengono certificate dal meccanismo stesso, senza l’intervento di un’entità esterna (come le banche per i depositi o gli intermediari finanziari per i titoli di credito).
Per quanto è dato conoscere sullo stato delle tecniche di hackeraggio, la blockchain originaria è impenetrabile, mentre quella usata da altre cryptocurrency non lo è; queste altre forme hanno raggiunto soluzioni sofisticate per proteggersi dagli attacchi esterni, tuttavia sono pur sempre penetrabili ma, nel convincimento di chi li usa, il rischio trova compensazione nei vantaggi che provengono per raggiungere altri fini, come realizzare i così detti smart contract.
Rimane pur sempre il fatto che essi restano nel confine dell’incertezza di essere dentro o fuori il perimetro della legalità, soprattutto se includono l’uso delle cryptocurrency. L’uso di questi strumenti nelle forme chiuse all’esterno dei partecipanti all’iniziativa (permissionless) preclude una vigilanza privata (come quella svolta dai collegi sindacali e dalle società di certificazione) o pubblica (da parte delle autorità di vigilanza). Senza presidi adeguati (norme ed enti) ne consegue un peggioramento della trasparenza del mercato, fondamento della legalità e delle scelte razionali degli operatori.
“Tra gli effetti negativi ben conosciuti vi è la schermatura che queste tecniche consentono ad attività criminali, come l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro sporco, il finanziamento del terrorismo e il sequestro di persone. La concentrazione nel possesso di Bitcoin che è stata recentemente accertata può riflettere questo aspetto del problema. Il fiume ormai in piena degli strumenti virtuali si è articolato in molti e variegati rivoli: Internet, che non è certo la culla delle certezze, attesta che esistono in circolazione dalle quattro alle cinque mila cryptocurrency (nelle forme di stable coin, ma in gran parte floating) che operano più o meno indisturbate; se a esse si applica l’esperienza fatta in poco tempo dalla Consob nell’oscurare in Italia centinaia di siti web che raccoglievano illecitamente risparmio, il quadro che ne risulta appare preoccupante”.