Facebook dovrà smettere di dichiararsi “gratuito”. Il Consiglio di Stato ha infatti respinto il ricorso presentato dalla divisione irlandese del social network sul provvedimento di Agcom, già impugnato di fronte al Tar del Lazio, ribadendo che un servizio che sfrutta i dati personali per il proprio business non può sostenere che tale servizio sia totalmente gratuito. La sentenza dello scorso 29 marzo non solo conferma l’ingannevolezza del messaggio agli utenti consumatori (convalidando così la piena sanzionabilità del comportamento ingannevole di Facebook Ireland), ma di fatto statuisce che “lo sfruttamento dei dati personali per finalità commerciali comporta, inevitabilmente, l’applicazione della normativa europea in ambito di protezione dei dati personali e quindi il GDPR, oltre alla disciplina attinente al diritto del consumatore”.
I Giudici del Consiglio di Stato nella loro sentenza confermano la decisione dell’AGCOM che aveva contestato a Facebook nel 2018 l’ingannevolezza e la scorrettezza commerciale insita nel presentarsi agli utenti come gratis mentre, in realtà, si farebbe pagare in dati personali che sfrutterebbe poi nella dimensione commerciale. Siamo al paradosso di un gigante della data economy che difende la natura di diritto fondamentale della protezione dei dati e che sostiene che tale natura impedirebbe di confondere il sacro con il profano e considerare i dati personali come il prezzo di un servizio digitale.
Dopo lo scandalo di Cambridge Analytica siamo in presenza di un nuovo potenziale boom che non ha solo il merito di conferire a tutti gli effetti un valore economico intrinseco ai dati personali ma che contribuisce anche a sottolineare una situazione molto spesso passata come assodata.