di Pierfrancesco Malu
Entro il 2028, la Cina supererà gli Stati Uniti divenendo la più importante economia al mondo. E’ un dato di fatto che apre degli scenari ancora tutti da valutare come, ad esempio, quale sarà la reazione degli americani che dovrebbero però mantenere in predominio dal punto di vista militare, almeno per il momento? Certo, la notizia, in realtà, non sorprende nemmeno più di tanto ed era ampiamente attesa da tempo. Un’economia che cresce al ritmo di quella cinese per un periodo così lungo di tempo e con le potenzialità che sono proprie del paese asiatico non poteva che portare a questa conseguenza. In tutto ciò, la Cina è anche l’unica delle potenze del mondo a crescere nonostante la pandemia, a dimostrazione che i suoi fondamentali economici e infrastrutturali sono più che solidi nonostante tutto.
Ulteriore dimostrazione dell’avvicendamento in vetta tra USA e Cina è poi il fatto che quest’ultima è diventata il principale partner economico dell’Europa proprio a scapito degli americani. L’Europa, infatti, ora commercia più merci con la Cina che con gli Stati Uniti, segno proprio di come la pandemia stia trasformando l’economia globale.
I dati pubblicati questa settimana dal servizio statistico dell’Unione europea hanno attribuito il passaggio a un aumento del 5,6% delle importazioni dalla Cina nel 2020 e un aumento del 2,2% delle esportazioni. Nel frattempo, c’è stato un “calo significativo” nel commercio con gli Stati Uniti, con le importazioni in calo del 13,2% e le esportazioni in calo dell’8,2%. Il valore complessivo degli scambi di merci UE-Cina lo scorso anno è stato di 586 miliardi di euro (706 miliardi di dollari), circa 31 miliardi di euro (37 miliardi di dollari) in più rispetto a quello tra l’Unione europea e gli Stati Uniti.
L’anno scorso l’economia cinese è cresciuta del 2,3% mentre correva per riprendersi dalla pandemia, mentre gli Stati Uniti hanno assistito a una contrazione della produzione del 3,5%. Ciò ha permesso alla Cina, la seconda economia più grande del mondo, di aumentare il proprio peso.
Nonostante questo passaggio più che rilevante, i legami dell’Europa con gli Stati Uniti rimangono molto forti, e probabilmente il riferimento all’alleanza atlantica nel discorso programmatico di Mario Draghi in Senato non è stato casuale ma anzi mirato a ribadire la fedeltà italiana nei confronti del tradizionale alleato. Mentre i cambiamenti principali guardano al commercio totale di merci, l’Unione europea, inoltre, continua ad esportare negli Stati Uniti molto di più di quanto non faccia in Cina, generando un numero significativo di posti di lavoro, ha osservato. I dati inoltre non tengono conto del commercio transatlantico di servizi, che vale circa 494 miliardi di euro (595 miliardi di dollari) all’anno. Bruxelles sta cercando di approfondire le sue relazioni economiche con la Cina, nonostante consideri il paese un “concorrente strategico” e un “rivale sistemico. L’Europa condivide le preoccupazioni degli Stati Uniti sulle pratiche commerciali e tecnologiche di Pechino, tuttavia, si tratta di un partner troppo grande e “in buona salute” per essere ignorato del tutto. La Commissione europea ha affermato di aver stabilito “chiari obblighi per le imprese statali cinesi”, che sono spesso fortemente sovvenzionate, e stabilito regole contro i trasferimenti tecnologici forzati.
L’accordo generava ancora attriti con gli Stati Uniti. Jake Sullivan, che ora è il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Joe Biden, ha esortato i leader dell’UE ad affrontare le preoccupazioni condivise su Pechino con l’amministrazione entrante.
Il cambiamento delle dinamiche commerciali potrebbe complicare gli sforzi di Biden per ripristinare le relazioni con gli alleati e costruire una coalizione globale per tenere conto della Cina.
È chiaro che gli Stati Uniti ora vogliano “serrare i ranghi” per cercare di mantenere salda la tradizionale alleanza con l’Europa per evitare di rimanere minoritari nei confronti di quello che potrebbe diventare un maxi polo di scambio eurasiatico favorito magari anche dalla crescita della Nuova via della seta di cui si sente parlare sempre meno.