di Maurizio Pimpinella
Nell’ambito dei pagamenti elettronici, a livello globale e nel contesto italiano, stiamo vivendo una fase espansiva che è destinata ad ampliarsi ulteriormente nei prossimi anni. Il 2020, per l’Italia, infatti, è stato un anno di svolta avendo quasi uguagliato i 269 miliardi di euro transati nel 2019 attraverso strumenti elettronici, il tutto nonostante le chiusure e le limitazioni che hanno caratterizzato tutto l’anno. Il 2021, poi, sarà per il nostro Paese l’anno della conferma, nel quale dovremo superare il muro dei 300 miliardi. Cifre positive che, tuttavia, nascondono un lato oscuro relativo al reale livello di alfabetizzazione finanziaria e digitale degli italiani. Il PIAAC (indice delle competenze degli adulti) evidenzia, infatti, che solo il 3,3% degli adulti italiani raggiunge alti livelli di competenza linguistica, contro l’11,8% della media dei 24 paesi partecipanti e il 22,6% del Giappone (primo in classifica). Questo dato ha immediati riflessi sulla diminuzione della propensione alla partecipazione associativa, scarsa fiducia nel prossimo e nell’incremento della convinzione di non contare nulla in politica. Secondo l’indagine OCSE “Skills Outlook” del 2019, inoltre, in Italia solo il 21% delle persone tra i 16 e i 65 anni possiede un buon livello di alfabetizzazione e capacità di calcolo. Un livello percentuale che colloca l’Italia al terzultimo posto della classifica, davanti solo a Cile e Turchia. La statistica evidenzia, inoltre, che solo il 36% del campione esaminato dall’OCSE è in grado di utilizzare internet correttamente.
Questi essenziali dati evidenziano plasticamente lo stridente scenario italiano: uno dei maggiori paesi per possesso e utilizzo di smartphone che però denuncia un ritardo di competenze rimarchevole. L’Italia ha necessità della definizione di un piano nazionale “shock” che compensi il male del XXI secolo: il digital gap nazionale ed internazionale che impedisce una vera e propria crescita competitiva.
L’OCSE definisce l’educazione finanziaria come “quel processo mediante il quale i consumatori/investitori migliorano le proprie cognizioni riguardo a prodotti, concetti e rischi in campo finanziario e, grazie a informazioni, istruzione e/o consigli imparziali, sviluppano le abilità e la fiducia nei propri mezzi necessarie ad acquisire maggiore consapevolezza delle opportunità e dei rischi finanziari, a fare scelte informate, a sapere dove rivolgersi per assistenza e a prendere altre iniziative efficaci per migliorare il loro benessere finanziario”.
Secondo quanto emerge dal rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane del 2018, la conoscenza finanziaria dei nostri connazionali si conferma assai limitata. Ad esempio, solo il 20% del campione manifesta l’abitudine a pianificare, approfondire e monitorare gli obiettivi raggiunti nel tempo. Lo stesso Centro Studi APSP, poi, ha realizzato una survey ad ampio spettro sulle abitudini e le conoscenze finanziarie dei giovani italiani tra i 17 e i 19 anni da cui emergono le rilevanti lacune dei ragazzi riguardo le conoscenze degli strumenti finanziari di base.
In questa fase, non esiste solo la crisi sanitaria ma dobbiamo anche essere in grado di “far tesoro” delle opportunità. La crisi delle competenze è anche crisi dell’occupazione e della competitività delle imprese. A questo proposito, possono essere individuate delle precise linee d’azione attraverso cui operare per rendere questa crisi un’occasione per l’occupazione.
Ogni prodotto e servizio che viene venduto oggi ed ogni parte del lavoro e della sua esperienza può essere digitalizzato. Pertanto, occorre incentivare con politiche di supporto adeguate alle aziende tale trasformazione. In questo caso, l’economia digitale deriva dall’incontro delle esigenze di domanda e offerta con le piattaforme che permettono la loro comunicazione.
Siamo di fronte non ad un tipo di recessione come quelli già conosciuti ma ad una riduzione e trasformazione di offerta o di domanda causato dalla pandemia. Stiamo assistendo soprattutto ad una rapida trasformazione dell’esperienza del consumo, dell’organizzazione degli uffici, dei luoghi di lavoro e alla trasformazione dei prodotti. Stiamo riscontrando infatti che le aziende che hanno velocemente cambiato verso un low-touch il modello di delivery crescono e hanno successo. Adeguarsi a questo nuovo modello attraverso l’acquisizione di nuove competenze e nuovi strumenti è il modo più facile per rientrare nel mercato. Quello spostamento verso l’home-life che era avvenuto come necessità di risposta al lockdown sarà in parte duraturo. Abbiamo riscoperto il valore di un miglior work life balance. L’incentivo allo smart working, quindi, può essere – investendo in competenze e mezzi, così come in un’efficiente infrastruttura internet – la soluzione per creare un perfetto bilanciamento tra qualità della vita e produttività.
Nel mondo del lavoro, c’è una forte accelerazione della richiesta di competenze, ben più marcata rispetto a un trend già in parte in atto in precedenza, verso lavori di supporto e servizio: stiamo facendo passi da gigante verso un’economia sempre più di servizi e informazione. Questo significa che le nuove competenze di cui i lavoratori hanno bisogno sono più orientate all’ascolto attivo, all’apprendimento, al sostegno, all’aiuto, alla consulenza, alla persuasione. Queste, che sono tutte metacompetenze, diventeranno le competenze del prossimo presente e del futuro.
L’indicazione generale dovrebbe essere quella di agevolare un massiccio investimento in corsi e progetti di sensibilizzazione, anche on line, rivolti a tutti i cittadini, a partire dall’età scolastica, ma indirizzati anche verso coloro che, magari in cassa integrazione, hanno anche necessità di riqualificarsi professionalmente grazie l’arricchimento delle competenze soft e le competenze digitali. Compiuto questo primo passo, l’iniziativa potrebbe essere quella di riformare completamente il sistema scolastico ed universitario italiano indirizzando gli insegnamenti più verso il saper fare e il saper essere che verso la sola conoscenza fine a se stessa. In questo passaggio, l’educazione finanziaria e digitale giocano un ruolo fondamentale in grado di fare la differenza. Per questo l’approccio deve essere del tutto nuovo, sistemico e non sporadico – per un mese l’anno – frutto di un impegno costante e di progetti coerenti, articolati e ben strutturati. Le carenze delle competenze finanziarie degli italiani cominciano dall’assenza di progetti educativi a livello scolastico. Nel mondo complesso in cui viviamo, l’educazione finanziaria dovrebbe essere considerata alla stregua di qualsiasi altra materia d’insegnamento in grado di fornire competenze pratiche e teoriche che possono determinare la crescita e il successo futuro dei nostri giovani. Al ruolo della scuola deve, però, essere sempre affiancato quello delle famiglie, primo luogo di confronto per i giovani ma anche quello del mondo delle associazioni, del terzo settore e delle imprese.