La scorsa estate, OpenAI ha cercato di avviare una collaborazione con Google, con l’obiettivo di migliorare la capacità del chatbot di fornire risposte più precise e aggiornate. Tuttavia, la proposta è stata respinta. Questa informazione è emersa nella giornata di ieri durante un’udienza del processo antitrust che il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ) ha avviato contro Google. A parlarne è stato Nick Turley, responsabile del prodotto ChatGPT, nel corso della sua testimonianza a Washington.
Turley ha spiegato che OpenAI aveva bisogno di un motore di ricerca più efficace, perché quello attuale non offriva risultati soddisfacenti. ChatGPT, dunque, non era in grado di rispondere bene a molte domande, usando solo la sua tecnologia interna e Bing.
Per questo motivo, OpenAI ha contattato Google, chiedendo l’accesso a una API (un’interfaccia che permette l’integrazione tra sistemi) per migliorare le funzionalità di ricerca del chatbot. Ma Google ha rifiutato la richiesta lo scorso agosto.Secondo un’e-mail mostrata in tribunale, Google ha motivato il rifiuto affermando che una collaborazione con OpenAI avrebbe coinvolto troppi concorrenti, e quindi preferiva evitare, come si legge su pymnts.com.
Il caso in tribunale è molto più ampio: il DOJ e diversi procuratori generali statunitensi stanno accusando Google di monopolio nel settore della ricerca online. Secondo l’accusa, questo monopolio darebbe a Google un vantaggio ingiusto anche nel campo dell’intelligenza artificiale, perché i suoi strumenti AI tenderebbero a indirizzare gli utenti verso il suo motore di ricerca, rafforzando ancora di più la sua posizione dominante.
In passato, Google ha siglato accordi esclusivi con aziende come Samsung, per rendere il suo motore di ricerca l’opzione predefinita su molti dispositivi.
Il giudice federale Amit Mehta ha già stabilito che Google ha mantenuto il suo dominio in modo illegale proprio grazie a questi accordi. Durante il processo, è emerso anche che Google aveva valutato di rendere obbligatori i suoi prodotti – come l’app AI Gemini e il browser Chrome – sui telefoni Android. Alla fine, però, ha scelto accordi meno rigidi, permettendo ai produttori di includere anche altre soluzioni. Google sostiene che questa apertura sia sufficiente per rispettare la sentenza del giudice. Tuttavia, il Dipartimento di Giustizia sta spingendo per misure più severe, come vietare a Google di pagare per ottenere la preinstallazione della sua app di ricerca.
Secondo Yahoo, OpenAI sarebbe pronta a comprare Chrome se Google (o meglio la sua società madre, Alphabet) fosse costretta a venderlo. Al momento, però, Google non ha messo in vendita il browser, e si sta preparando a fare ricorso nel caso venga ordinato di separare le sue attività.