Le somme in ballo impongono pragmatismo e onestà da parte di tutti gli attori. In soccorso arriva la blockchain, definita non a caso la “macchina della fiducia”. A proposito di fiducia, nel 2017 l’Edelman Trust Barometer (la più importante indagine globale sull’argomento realizzata dall’omonima società di comunicazione e PR su un campione di oltre 33mila persone) ha certificato una diffidenza record nei confronti delle organizzazioni non governative e non profit. Negli ultimi due anni i dati sono leggermente più confortanti, ma la questione rimane aperta.
La catena dei blocchi, unita alle criptovalute e agli smart contract, consente a chiunque non soltanto di seguire il flusso ma anche di verificare la destinazione finale della propria donazione attraverso piattaforme specifiche. Una trasparenza totale che arriva fino all’“ultimo miglio”, il passaggio in cui spesso – ancora oggi – si perdono le tracce di denaro e buoni propositi. Che sia una scuola, un’ambulanza o più semplicemente un pasto caldo per chi non può permetterselo poco importa.
Inutile dire che meccanismi certi e chiari sono anche più attrattivi: chi si siederebbe a un tavolo senza conoscere le regole del gioco?
Senza timore di esagerare, la blockchain ha la forza di cambiare il concetto alla base della charity: in Europa vige il principio “di redistribuzione” della ricchezza (secondo il quale è lo Stato a occuparsene), nella cultura anglosassone quello “di restituzione” (obbligo sociale di restituire alla società parte dei profitti accumulati grazie alla società stessa).
Ovviamente, quale ulteriore incentivo, al ribaltamento di questo paradigma dovrebbe corrispondere anche una tassazione più bassa per consentire soprattutto alle aziende di destinare al terzo settore una quota del proprio fatturato. Un mercato di tutto rispetto, se si pensa che il 70% dei marchi internazionali si occupa in qualche modo di beneficenza. Molte di queste società hanno al proprio interno una divisione dedicata: un’opportunità per rimanere in contatto con la realtà circostante ed essere al fianco di chi ha bisogno di aiuto senza andare troppo lontano.
Tornando alla catena dei blocchi, è importante ricordare che nessun record può essere cancellato dal libro mastro, minimizzando così il rischio di frodi. L’assenza di intermediari e di commissioni legate alle transazioni, poi, riducono sensibilmente i tempi e i costi delle operazioni. Fattori non trascurabili soprattutto in situazioni come i disastri naturali, nelle quali è fondamentale intervenire in modo tempestivo. Un contributo importante per l’adozione di massa può essere offerto dalle criptovalute e soprattutto dai cosiddetti stablecoin, ancorati alle monete tradizionali e per questo motivo meno soggetti a volatilità. Le transazioni in valute digitali sono quasi istantanee e più trasparenti: è sufficiente avere una connessione a internet e, ovunque voi siate, il gioco è fatto. Una metodologia in grado di attrarre filantropi che in altre forme, forse, non si interesserebbero alla causa della beneficenza.
Un altro punto centrale riguarda le “regole di ingaggio” dei contratti intelligenti: nel caso le condizioni di partenza non vengano rispettate, i donatori riavrebbero indietro le loro offerte o potrebbero destinarle ad altre emergenze. In questo modo eviteremmo il ripetersi di scandali come quello di Haiti seguito al terremoto del 2010.
In quell’occasione la Croce Rossa raccolse più di 500.000 dollari per costruire case per gli sfollati (in 130.000 rimasero senza un tetto) ma, dopo cinque anni, gli appartamenti completati furono soltanto sei.
Adesso è arrivato il momento di fare il passo successivo. Non dobbiamo più limitarci a erogare denaro ma impegnarci in iniziative in grado di generare rendimenti attraverso investimenti rapidi e redditizi nel lungo periodo.