Lo si sapeva, ma adesso è arrivata un’autorevole certificazione il lockdown a causa del coronavirus causerà dei gravissimi danni all’economia europea. Secondo le stime di Standard & Poor’s, infatti, con quattro mesi di lockdown il Pil dell’Eurozona potrebbe accusare un calo del 10%. Una prospettiva fosca che brucerebbe decine di miliardi di dollari e manderebbe in fumo aziende e posti di lavoro.
Un tracollo economico e sociale che Commissione e governi europei devono scongiurare ad ogni costo. Eppure, non tutti concordato sulle misure da adottare. Per la prima volta nella sua storia, l’UE sembra davvero disposta a fare tutto ciò che è necessario per sostenere le economie europee in difficoltà con un piano di finanziamenti faraonico e la sospensione del patto di stabilità. Eppure, ciò non può essere sufficiente e misure ancora più audaci non incontrano il favore dei paesi nordici guidati da Germania e Olanda. In questa fase, l’Europa è spaccata a metà, da un lato il Nord rigido, rigoroso e strenuamente legato a vincoli che, in questa fase, appaino superflui e inutili, dall’altro lato i paesi “mediterranei” (soprattutto) guidati da Italia e Francia che chiedono interventi più decisi e condivisi tra tutti i membri dell’Unione. Non è un caso, infatti, che proprio questi due paesi siano i primi firmatari della lettera d’intenti alla BCE per la creazione dei cosiddetti “coronabond”, cui hanno aderito anche Spagna, Portogallo, Slovenia, Belgio, Lussemburgo, Grecia e Irlanda. Dal canto suo la Germania, tramite Peter Altmaier, ministro dell’Economia, ha definito già i coronabond “un dibattito vuoto, una riedizione di concetti vecchi già respinti”, respingendo di fatto un’idea che Paolo Gentiloni – Commissario agli affari economici UE – ritiene ancora “sul tavolo”.
Con un’intervista fragorosa al Financial Times, anche Mario Draghi ha partecipato al dibattito presentando di fatto un dettagliato piano di sostegno economico e finanziario ai paesi maggiormente colpiti dall’epidemia e – di conseguenza – dalla crisi economica che ne comporta.
Le parole che l’ex presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha usato dalle colonne del «Financial Times» non lasciano molti margini di interpretazione: il debito pubblico è l’unica leva che i governi hanno per gestire le fasi di guerra.
La linea illustrata da Draghi è unica: bisogna salvare i posti di lavoro, per farlo bisogna dispiegare tutta la potenza dei governi e non importa di quanto salirà il debito pubblico. Perché siamo in guerra e le difficoltà vissute dalle imprese non sono colpa loro. Draghi, si legge su milanofinanza.it, cancella tutte le regole che hanno guidato il mondo negli ultimi quarant’anni perché bisogna ripartire. E se rispettano le regole vigenti non si ripartirà mai. Il riferimento non troppo velato di Draghi è proprio rivolto alla Germania come al solito arroccata dietro posizioni rigide che non trovano alcun riscontro pratico nell’attuale situazione politica. Secondo il piano illustrato da Draghi, è prioritariamente necessario tutelare i posti di lavoro per evitare che il livello di occupazione e di produzione sia irrimediabilmente compromesso. Per fare ciò ci vuole un’immediata immissione di liquidità, l’unico modo per consentire alle aziende di coprire le loro spese operative durante la crisi. Per fare questo bisogna mobilitare l’intero sistema finanziario: il mercato dei bond per le grandi imprese, le banche e, in alcuni Paesi, le Poste per tutti gli altri. Bisogna farlo subito, evitando i ritardi della burocrazia. Draghi sottolinea che le banche “possono creare moneta istantaneamente aprendo le loro linee di credito”. Le banche, poi, devono concedere prestiti a costo zero per le imprese che si impegnano a salvare i posti di lavoro. E poiché in questo modo le banche diventano strumenti di politica pubblica, il capitale necessario deve essere loro fornito dai governi in forma di garanzia o di prestiti addizionali. Draghi osserva che il debito pubblico degli Stati salirà alle stelle, ma l’alternativa è la distruzione permanente della capacità produttiva e quindi dell’imponibile fiscale. E questo farebbe molto più danni. L’ex presidente della Bce chiude il suo intervento evidenziando che la perdita di reddito nel corso della pandemia non è colpa di nessuno e chiude ricordando le sofferenze dei cittadini negli anni 20. Perché se non si farà così siamo destinati a fare il bis di quell’epoca buia.
L’intervento dell’ex numero uno della BCE non è solo economico ma, soprattutto, politico e programmatico ed è teso ad aprire gli occhi di chi per cecità ed eccessiva rigidità sarebbe disposto a sacrificare milioni di cittadini ed interi ecosistemi economici. Con questa netta presa di posizione Mario Draghi sembrerebbe quasi aprire – senza mai citarla o farvi riferimento – all’ipotesi di diventare il presidente del consiglio italiano del rilancio al termine dell’emergenza sanitaria.
Per Draghi “La pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Molti oggi vivono nella paura della propria vita o in lutto per i propri cari. Le azioni intraprese dai governi per evitare che i nostri sistemi sanitari vengano travolti sono coraggiose e necessarie. Devono essere supportati”.