Crescono gli investimenti in intelligenza artificiale in Europa. Nell’ultimo quinquennio, i fondi raccolti dalle startup del settore sono cresciuti del 55%. La Francia (un po’ a sorpresa) si rivela il top nel settore mentre l’Italia ha diverse posizioni da recuperare. Questo è il quadro che emerge dal recente studio di Roland Berger “The Road to AI – Investment Dynamics in the European Ecosystem”, sul quale può pesare anche la Brexit.
La situazione, tuttavia, è ancora fluida e la corsa per la conquista della leadership globale dell’intelligenza artificiale è ancora aperta. E servono strategie coordinate in materia di investimenti, talenti e regolamentazione. Il report giunge in un particolare momento in cui l’Unione Europea sta definendo la propria strategia in materia di IA proprio per affrontare il futuro in maniera coordinata tra tutti i paesi.
Tra i 28 (pre Brexit) paesi dell’Unione Europa esaminati insieme a Norvegia, Svizzera e Israele, dallo studio Roland Berger emergono i campioni del mercato. Sono Regno Unito, Francia, Israele e Germania. I quali hanno raccolto investimenti in start-up Ai pari a 8,6 miliardi di dollari dal 2009 ad oggi, ossia l’80% del totale finanziato nel campo dell’intelligenza artificiale.
I numeri
Per quanto riguarda le start-up, Israele resta il paese leader incontrastato. Il paese è, infatti, primo in termini di investimenti medi per singola start-up (4,7 milioni di dollari) nel periodo 2009-2019. Ma si considera soltanto il mondo dell’intelligenza artificiale, in Europa, come detto, il leader è la Francia, con un tasso di crescita annuo degli investimenti in startup pari al 58% e una raccolta stimata a fine 2019 di 1,2 miliardi di dollari. Il sistema delle startup francesi è ormai maturo, con i fondi che puntano a exit di peso.
Nel mondo i leader indiscussi in campo startup Ai rimangono invece gli Stati Uniti. Soltanto nel 2018, gli Usa hanno investito 4,5 miliardi di dollari, con un valore medio poco inferiore a 10 milioni. In Europa il quadro è diverso. Il numero di operazioni è maggiore rispetto a quello registrato negli Usa (980 contro 500) ma è inferiore il totale investito (3 miliardi di dollari), così come il valore medio per singola operazione (3 milioni di dollari).
Dal 2014 al 2019 si è registrato anche un incremento consistente delle exit concentrate per il 66% nel Regno Unito, Israele, Francia e Germania e la quasi totalità degli investitori è rappresentata dalle aziende (92% di cui il 70% attive nel mondo tech) seguite a una certa distanza da fondi di private equity (5,5%) e da società d’investimento (2,5%). Si tratta principalmente di realtà statunitensi (per il 42% del totale), seguite da investitori basati nel Regno Unito (13%), in Germania (10,5%) e in Francia (7%), con Israele in posizione marginale sul ruolo in fase di exit.
Le proposte
Lo studio rivela la necessità di investire in tre ambiti chiave per favorire una crescita coerente dell’IA in tutto il continente.
Per prima cosa, sono necessari investimenti stimolati dalle istituzioni a livello pan europeo. Il sostegno economico e regolamentare a questo settore è indispensabile per favorirne una crescita coordinata, soprattutto grazie all’introduzione di nuovi ed innovativi strumenti di investimento.
In secondo luogo, la valorizzazione dei talenti. In Europa, soltanto 10.000 persone vantano il background accademico idoneo e l’esperienza necessaria per sviluppare tecnologie AI. In questa direzione, occorre adeguarsi sia per educare i futuri talenti sia per mantenere e supportare le professionalità già esistenti. Nel nostro Paese, infatti, nel 2014 il Ministero dello Sviluppo Economico ha lanciato Italia Startup Visa, il visto d’ingresso per gli imprenditori stranieri che intendono creare nel Paese una nuova startup con l’obiettivo di attrarre capitali e talenti.
In ultima istanza, Roland Berger suggerisce di armonizzare il quadro normativo per fare spazio all’AI. Le strategie a livello nazionale andrebbero allineate e i Paesi membri dell’Ue dovrebbero lavorare in sinergia sui temi chiave per lo sviluppo di un settore strategico: brevetti, infrastrutture, investimenti e risorse umane.