di Giovanni Castaldi
Il contante costituisce da sempre il veicolo privilegiato dell’evasione fiscale e del riciclaggio, in quanto consente l’anonimato delle transazioni con esso regolate. A ciò aggiungasi che gli elevati costi della sua produzione e distribuzione gravano sulle finanze pubbliche e che la sua gestione, altrettanto onerosa, pesa sui bilanci delle imprese. Uno Stato virtuoso, quindi, non solo ha l’obbligo morale, ma anche la convenienza economica a contrastare l’uso eccessivo del cash.
Ma, a prescindere dalla spontanea propensione e convenienza dei cittadini a sostituire il contante con pagamenti digitali tracciabili e più efficienti, cosa si è fatto in Italia per stimolare tale evoluzione? Poco e male. Anzi, alcune decisioni assunte dalle pubbliche autorità, sia nazionali che comunitarie, si sono mosse in direzione completamente opposta.
Anzitutto, in occasione della introduzione dell’Euro, le competenti autorità europee decisero di emettere anche banconote di taglio molto elevato, offrendo in tal modo agli evasori fiscali e alla criminalità la possibilità di trasferire materialmente ingenti somme, senza particolari difficoltà logistiche e in pieno anonimato. Eppure non era difficile immaginare che le banconote da 500 euro – c.d. “banconote fantasma“, in quanto pressoché sconosciute al grande pubblico – sarebbero state utilizzate soprattutto per effettuare segretamente pagamenti illeciti o per accumulare disponibilità monetarie in cassette di sicurezza o nei più svariati nascondigli.
Già nel 2009 l’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (UIF), organismo preposto alla ricezione e all’approfondimento finanziario delle operazioni sospette, denunciò i pericoli insiti nelle banconote di taglio elevato come potenziale strumento di riciclaggio. Lo studio (aggiornato nel 2011 e nel 2016) poneva in risalto la quota particolarmente elevata di banconote da 500 euro sul totale del circolante emesso nell’Eurozona, sottolineando il loro possibile impiego come strumento di riserva di valore per capitali di origine illecita e come mezzo per “regolare” in modo occulto le transazioni illegali anche di elevato valore. A tacer d’altro, si pensi solo al fenomeno della sottofatturazione e sovrafatturazione particolarmente presente anche nelle attività di import-export.
Solo nel 2016 una direttiva comunitaria ha previsto che, dal 1° gennaio del 2019, le banconote da 500 euro non vengano più stampate, con comprensibile disappunto dei trafficanti di droga e di armi. Le banconote in circolazione, peraltro, manterranno il proprio valore e potranno essere utilizzate – salvo interventi normativi di livello comunitario – fino alla consunzione fisica che, considerata la scarsa circolazione, potrebbe consentire loro un periodo residuo di vita pressoché illimitato. E dire che negli Stati Uniti fin dal 1946 non vengono più stampate banconote di importo superiore a 100 dollari e quelle di valore superiore rimaste in circolazione furono ritirate dal mercato nel 1969. In Giappone e Gran Bretagna, poi, le banconote di taglio massimo hanno un valore inferiore a 100 euro[1].
In tale contesto, le misure adottate in passato in Italia per contrastare l’eccessivo utilizzo del contante sono state inadeguate e sproporzionate. La determinazione di limiti di importo per i pagamenti in contanti, in particolare, si è rivelata una misura nel contempo inefficace ed iniqua. Anzitutto, la misura del limite è stata ripetutamente elevata e ridotta, creando confusione e disorientando i cittadini. Il divieto, inoltre, ricorda le “grida” di manzoniana memoria, in quanto, per garantirne il rispetto, ogni cittadino dovrebbe essere scortato da un occhiuto finanziere, pronto a contestare le violazioni della norma. E’ evidente che – salvo improbabili eccezioni – evasori fiscali e riciclatori di proventi criminali non verranno mai colti in flagrante mentre si scambiano mazzette di banconote. Certo, le fatture comprovanti l’acquisto di merci e servizi non potranno più indicare che il pagamento è avvenuto in contanti, ma si tratta di transazioni che avrebbero comunque lasciato traccia di sé.
Sul piano etico non è poi il caso di commentare le norme che consentono ai turisti stranieri – sia pure a certe condizioni – di effettuare pagamenti in contanti in Italia in misura più elevata di quella permessa ai cittadini[2]. Per non parlare, infine, dei limiti all’avvaloramento degli assegni – strumenti ormai desueti e poco adatti al riciclaggio – che hanno determinato inique sanzioni a carico di alcuni cittadini inconsapevoli che, per pagare spese funebri, avevano hanno “riesunato” dal cassetto vecchi libretti di assegni privi della clausola prestampata di non trasferibilità.
La previsione della recente legge di bilancio di abbassare dal 2022 il limite di spendibilità del contante a soli 1.000 euro mi sembra paradossale. Significherebbe, oltre tutto, rendere illecita la spendita cumulata di due banconote da 500 euro aventi corso legale. Nessuna meraviglia, quindi, se la Banca Centrale Europea ha censurato il provvedimento e ha invitato l’Italia a modificarlo per evitare limitazioni eccessive e potenzialmente dannose, non conformi al Trattato dell’Unione, che sancisce la libera circolazione dei beni, ivi compreso il denaro. Già in passato, d’altra parte, la Commissione UE aveva sostenuto che limiti eccessivi alla spendita del contante – che è disponibile gratuitamente e di semplice utilizzo – rischiano di ledere la libertà personale e l’inclusione finanziaria delle categorie più deboli e, segnatamente, degli anziani.
In conclusione, oltre certi limiti, i divieti all’uso del contante e degli strumenti affini, lungi dal conseguire apprezzabili risultati in termini di contrasto all’evasione e al riciclaggio, si risolvono prevalentemente in inutili vessazioni nei confronti dei comuni cittadini.
A mio parere, non è con vane limitazioni iagulatorie all’uso del contante che potrà promuoversi la diffusione di strumenti di pagamento innovativi e, quindi, la tracciabilità delle transazioni. Occorre creare un conflitto d’interessi tra il pagatore e il percettore, che induca il primo a preferire il pagamento cashless e obblighi il secondo ad accettarlo. In questo senso si muovono alcune recenti misure varate dal Governo, anche se l’obbligo di commercianti e professionisti di accettare i pagamenti cashless non è paradossalmente sorretto da adeguate sanzioni. Nell’inerzia dello Stato, i cittadini possono reagire solo rinunciando – quando possibile – alla prestazione.
Ma veniamo alle altre misure varate dal Governo in carica. Ebbene, i premi e i benefici fiscali concessi a chi adopera carte di pagamento e altri strumenti tracciabili vanno nella giusta direzione, ma appaiono eccessivamente timidi, in quanto tali pagamenti non sono configurati come un diritto. Ne discende che il godimento dei benefici continua ad essere condizionato dalla spontanea disponibilità dei fornitori di beni e servizi di utilità sociale ad accettare gli strumenti innovativi di pagamento. Un maggiore coraggio nell’imporre a determinate categorie l’accettazione di pagamenti cashless andrebbe accompagnato da un significativo rimborso fiscale dei relativi oneri. Una tale iniziativa, oltre a superare gli alibi basati sul costo della strumentazione POS, sarebbe ampiamente compensata, sul piano economico, dall’emersione del nero fiscale.
Guardiamo con fiducia al prossimo futuro.
[1] Cfr. Corriere della Sera 24 luglio 2011.
[2] Cfr. l’art. 3 della legge 44/2012 (conversione del decreto-legge 16/2012)., ha stabilito che gli operatori del settore del commercio al minuto e le agenzie di viaggio e turismo possono vendere beni e servizi in contanti, fino a 14.999,99 euro, alle persone fisiche che non siano residenti in Italia e che non abbiano cittadinanza italiana né di paesi dell’Unione Europea o dello Spazio Economico Europeo.