Riportare al centro dell’attenzione il valore della moderazione a tutela del benessere e della salute: questo è l’obiettivo del documento scientifico “Effetti dell’assunzione di vino in modo responsabile e in dosi moderate nell’ambito di uno stile di vita sano” presentato a Vinitaly, nello spazio di Confagricoltura, durante l’incontro promosso da Agronetwork e dal Cluster Nazionale Agrifood.
Il documento, frutto del confronto multidisciplinare tra qualificati scienziati di diversa formazione, raccoglie e articola le evidenze a favore del consumo moderato in parallelo ai fattori critici che possono avere effetti negativi sulla salute. Si tratta di una attenta valutazione scientifica degli aspetti nutrizionali e sociali che rendono un limitato consumo di vino parte integrante di un modello alimentare ispirato alla dieta mediterranea. In tale logica il documento dimostra come la moderazione sia propria dello stile di vita italiano, concorra allo sviluppo di scelte salutari e trovi nelle aziende del comparto vino, e della filiera delle bevande alcoliche, operatori sensibili e propensi ad accogliere i nuovi valori del consumo espressi in particolar modo dalle generazioni più giovani.
“In un contesto di crescente attenzione dei consumatori alla salute e all’adozione di stili di vita sostenibili, il consumo moderato di bevande alcoliche non dovrebbe essere demonizzato – ha dichiarato Lorenzo Maria Donini, professore ordinario Unità di Ricerca di Alimentazione e Nutrizione Umana del Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza e coordinatore scientifico del documento -. La nostra è una riflessione documentata a più voci per una valutazione informata del consumo moderato di vino, che non trascuri gli aspetti critici e controversi della materia. “Il valore della moderazione”, continua Donini, “rappresenta una parte fondante del modello di consumo italiano, purché sempre associato con la dieta mediterranea, la conoscenza dei propri limiti e una valutazione adeguata dei profili di rischio individuale”.
“In questa logica la tesi oggi dominante per cui non esisterebbero soglie sicure di consumo di bevande alcoliche per la salute umana può essere rivista. Il potenziale di danno dell’etanolo presente nelle bevande alcoliche va giustamente ribadito – ha sottolineato Donini – tuttavia i contesti delle pratiche e lo stile di consumo moderato, da associare rigorosamente ai pasti, unito alle norme socio-culturali che ne censurano l’eccesso, sono tutti elementi che possono determinare un beneficio. Il beneficio, per rimanere tale, deve essere comunque sempre controllato e collegato alle proprie condizioni di salute e quindi ad una norma prudenziale”.
Per gli autori del documento: “il bere è una scelta che deve sempre ponderare aspetti di benessere soggettivo ed una attenta valutazione degli aspetti salutistici. Ovviamente il consumo eccedentario (binge drinking) è pericoloso e sempre negativo”.
Anche il presidente di Agronetwork Sara Farnetti, specialista in Medicina Interna e Fisiopatologia della Nutrizione e del Metabolismo, ribadisce che il consumo moderato del vino, associato ai pasti, può non risultare dannoso. E’ vero che l’etanolo assunto in dosi improprie risulta senz’altro nocivo tuttavia il vino, soprattutto il rosso, contiene anche numerosi catalizzatori biologici (come il ferro, lo zinco, il rame) e diverse sostanze preziose (antocianidine, resveratrolo, saponine, acido gallico, composti fenolici e altre sostanze con azione antiaggregante piastrinica). Ovviamente, in accordo con il documento presentato a Vinitaly, è necessario promuovere un sano stile di vita che preveda un limitato consumo delle bevande alcoliche. D’altronde l’Italia è tra i paesi che negli ultimi 30 anni hanno ridotto di più i consumi di bevande alcoliche, raggiungendo questo risultato senza politiche restrittive, ma favorendo i meccanismi di auto-regolazione, oltre che un approccio sensibile all’individuo, al suo stile di vita, all’integrazione del vino e di altre bevande in un comportamento alimentare equilibrato, che continui a raccontare in definitiva che gli italiani sanno “bere meglio”.