Con il disegno di legge Made in Italy previste diminuzioni degli aiuti per l’high tech, in favore di organizzazioni che promuovono le produzioni di eccellenza e radici culturali nazionali
Non è sicuramente un ritorno al lavoro semplice quello delle startup, alle prese con la decisione del governo di tagliare 300 milioni di euro di finanziamenti per queste realtà. Il disegno di legge Made in Italy, infatti, prevede una diminuzione degli aiuti per l’high tech, in favore di organizzazioni che rispecchiano i criteri del cosiddetto “made in Italy”. In particolare, Innovup – Italian innovation & startup ecosystem, che riunisce e rappresenta l’ecosistema italiano dell’imprenditorialità innovativa – e Italian tech Alliance – nella quale si riconoscono le realtà italiane del venture capital, degli investitori in innovazione e delle start-up e pmi innovative -, lamentano come il governo abbia tagliato 300 milioni dal fondo Cdp Venture Capital, che finanzia startup, Pmi e i fondi di venture capital.
«Innanzitutto sarà da verificare se le “intenzioni” del governo diventeranno realtà – commenta Orazio Granato, Ceo di A-Tono, azienda indipendente che opera nel settore della comunicazione elettronica, dei pagamenti digitali, dello sviluppo di prodotti, servizi digitali e digital branding – È deprimente leggere la motivazione, cioè togliere fondi per lo sviluppo tecnologico per destinarli genericamente al “made in Italy”, come se più di 17mila startup e Pmi innovative, con un fatturato complessivo di 9,5 miliardi di euro nel 2022, non lo fossero. Innovup e Italian Tech Alliance, le associazioni che raccolgono molte startup e Pmi, si faranno sicuramente sentire col governo».
Se da una lato è corretto e doveroso tutelare e sovvenzionare imprese che “fanno tutto in casa”, creano ricchezza e valore aggiunto sul territorio e contribuiscono alla crescita del sistema Paese, lo è altrettanto agevolare le start-up innovative, società nascenti che possono diventare eccellenze italiane nel mondo.
«Innanzitutto chiariamo che i fondi del governo non vanno direttamente ai beneficiari ma ai Venture Capital che finanziano poi chi innova – prosegue Granato – Sanno che solo 1/3 delle imprese sostenute potranno, entro dieci anni, garantire una exit profittevole, e in quei dieci anni finanziano tutte quelle che si siano presentate con un pitch convincente. Questo è il primo problema: ragionare comunque sempre in termini di exit invece che di costruzione di valore. Inoltre, quei restanti 2/3 sono la zona grigia all’interno dei quali trovano spazio gli opportunisti che ragionano a breve termine, solo con l’obiettivo di pompare, a colpi di round di raccolta, società che sul mercato non starebbero in piedi da sole. E di aver realizzato profitti facili anche in caso di fallimento. In questo sistema noi non avremmo retto, eppure siamo qui: il disegno iniziale si sta realizzando oggi, dopo 23 anni di piccoli passi. Rimanendo sempre indipendenti, fin da piccoli. Il mito dell’unicorno può far montare la testa ma bisogna sempre fare i conti con la realtà. Il mio consiglio ai piccoli, dettato dall’esperienza, è cercare sì degli aiuti, ma mantenere sempre il pieno controllo di tutte le attività con capitali propri, senza la fretta di arricchirsi in tempi brevi. Così da testare le proprie innovazioni direttamente sul mercato, affinandole per renderle solide e davvero rilevanti per gli utenti finali».
Che cos’è A-Tono
A-Tono è un’azienda fondata da Orazio Granato nel 2000 che ha come obiettivo quello di intercettare bisogni e desideri di clienti e consumatori un attimo prima che essi stessi si accorgano di averli. Un’azienda 100% italiana che valorizza le risorse italiane, camaleontica, veloce, disruptive, in costante crescita organica da vent’anni. Riconosciuta da Visa come eccellenza italiana nel Fintech, è, come spiegano in azienda, un operatore di comunicazione elettronica, istituto di pagamento e fornitore di hardware e servizi di pagamento, system integrator, sviluppatore di prodotti e servizi digitali, agenzia di comunicazione e digital branding.