di Maurizio Pimpinella
Se mai fosse stato possibile un evento in grado di “sdoganare” di fatto le criptovalute questo è la crisi in corso in Ucraina. Stavolta non siamo arrivati ai valori record di quasi 68.000 dollari dei bitcoin registrati tempo fa ma nei giorni scorsi abbiamo assistito ad un forte e rapido apprezzamento di questi asset, cresciuti nel giro di ore anche del 17%.
È evidente che, in presenza di impedimenti oggettivi che riguardano i normali circuiti bancari e finanziari sia i sanzionati sia alcuni degli stessi sanzionatori stiano convertendo, e quindi svolgendo, le proprie attività finanziarie in valute non tracciabili che seguono percorsi diversi. La necessità di reperire liquidità rapidamente investibile, magari anche su mercati paralleli, sta conducendo poi la resistenza ucraina – e di conseguenza anche i suoi finanziatori – a versamenti in valuta cripto, la cui entità, secondo Merkle Science, sarebbe già di circa 36 milioni di dollari, in crescita.
In generale, in questa fase, le criptovalute stanno svolgendo una doppia funzione: da una parte sono un vero e proprio strumento di scambio, probabilmente utilizzato da oligarchi ed enti governativi per aggirare il blocco, dall’altro stanno diventando un vero e proprio bene rifugio allo stesso modo di altri beni durevoli quali l’oro. È singolare, ancora una volta, che sia loro attribuito questo ruolo in quanto a causa della natura volatile bitcoin &co sono soggetti a grandi fluttuazioni, tanto che – come mi è stato raccontato dai diretti interessati – dove già anni fa era possibile usarli per operazioni quotidiane, l’acquisto di una semplice birra, che era stata acquistata per un corrispettivo di 2 euro, oggi vale migliaia di euro. È evidente, però, che, in determinate condizioni di emergenza, questa sia praticamente l’unica strada rimasta che col protrarsi delle sanzioni potrebbe addirittura consolidarsi. D’altra parte, abbiamo già assistito alle corse – spesso vane – dei cittadini russi agli sportelli per ritirare contanti (altro asset considerato rifugio perché facilmente portatore di valore e immediatamente spendibile), ed è più che intuibile che molti di questi si rivolgano ora ad altri mercati per soddisfare le necessità che non cessano certo di esistere, anche a causa di un Rublo che ha perso parte considerevole del proprio valore. Un altro aspetto rilevante che avvalora quanto detto è che in Russia è dislocato l’11,23% della capacità mondiale di estrazione di bitcoin. Un valore che pone Mosca al terzo posto nella classifica mondiale alle spalle degli Usa, che ne ospitano il 35%, e del Kazakistan (tra l’altro paese amico dei russi), che è sede del 18%. Diciamo che le risorse in questo ambito non mancano. Proprio a tal proposito, non è casuale la dichiarazione di mercoledì 2 marzo di Bruno LeMaire – ministro dell’economia francese – a proposito della necessità di regolamentare in maniera più efficace il mercato cripto.
Ebbene, nel bene e nel male questo è un settore dalle grandi potenzialità ma anche dai potenziali pericoli e, considerata la rapida evoluzione che sta assumendo la crisi nell’Est Europa, vedremo se si giungerà presto anche a una regolamentazione d’urgenza di questi asset.