A partire dal 12 giugno, data in cui Israele ha intrapreso un’azione militare contro l’Iran, si è registrato un drammatico incremento degli attacchi informatici rivolti a obiettivi israeliani, con un aumento stimato del 700% rispetto ai giorni precedenti. Questo forte incremento è stato documentato dalla società specializzata in sicurezza informatica Radware, la quale attribuisce gran parte di queste offensive a gruppi hacker e attori statali filo-iraniani impegnati in una strategia di ritorsione digitale. Secondo Ron Meyran, vicepresidente della divisione Cyber Threat Intelligence di Radware, questa escalation ha coinvolto una molteplicità di tecniche di attacco, tra cui attacchi Distributed Denial of Service (DDoS) volti a sovraccaricare e bloccare i sistemi, tentativi di penetrazione nelle infrastrutture critiche del Paese, furto di dati sensibili e campagne mirate di diffusione di malware dannosi. I bersagli principali di queste azioni comprendono portali web governativi, istituzioni finanziarie, compagnie di telecomunicazione e infrastrutture essenziali, elementi chiave per il funzionamento e la sicurezza nazionale di Israele, così come si legge su Ansa.
Parallelamente agli attacchi tecnici, si è assistito a una crescita significativa di campagne di disinformazione e diffusione di fake news, finalizzate a destabilizzare la società israeliana e minare la fiducia della popolazione nelle istituzioni. Anche altre realtà nel campo della cybersecurity, come Check Point Software Technologies, con sede in Israele, hanno monitorato un aumento di operazioni digitali progettate per influenzare negativamente l’opinione pubblica. Un esempio concreto riguarda l’invio di messaggi di testo falsi a migliaia di cittadini israeliani, nei quali si annunciavano notizie allarmistiche come la sospensione imminente delle forniture di carburante per un’intera giornata o l’ipotesi di un attacco terroristico in un rifugio, con l’invito a evitare la zona interessata. Queste azioni rappresentano un chiaro tentativo di generare panico e confusione in un momento di tensione militare. Gil Messing, capo dello staff di Check Point, ha sottolineato a Axios che tali operazioni sono strategie di intimidazione che puntano alla diffusione di notizie false e alla manipolazione dell’informazione, con lo scopo di compromettere la stabilità sociale durante le fasi critiche degli attacchi missilistici.
Questo tipo di guerra cibernetica rappresenta una nuova frontiera del conflitto tra Israele e Iran, dove la lotta non si svolge solo sul campo militare tradizionale, ma anche nello spazio digitale. Gli attacchi informatici e la manipolazione della comunicazione sono strumenti utilizzati per minare la sicurezza nazionale, influenzare l’umore e le percezioni della popolazione, e cercare di indebolire la capacità di risposta dello Stato. L’evoluzione di questo scenario mette in luce quanto la cyberwarfare stia diventando un elemento sempre più centrale nei conflitti internazionali moderni, richiedendo una crescente attenzione alle strategie di difesa digitale e alla resilienza contro le campagne di disinformazione, oltre che alle tradizionali contromisure militari. Le istituzioni israeliane e le società di cybersecurity sono quindi chiamate a rafforzare continuamente le proprie difese tecnologiche e a sviluppare contromisure efficaci per contrastare queste minacce ibride, che combinano azioni tecniche di sabotaggio con operazioni psicologiche e mediatiche rivolte a destabilizzare l’intero tessuto sociale.