L’Italia sta affrontando una delle transizioni demografiche più complesse al mondo. Il nostro, infatti, è stato il primo Paese a registrare, già nei primi anni Novanta, il sorpasso degli over 65 sugli under 15 e rischia seriamente, entro il 2050, di avere un equilibrio quasi perfetto tra lavoratori e pensionati, con un rapporto di uno a uno. Pur essendo ancora il terzo Stato più popoloso dell’Unione europea e presentando una delle densità abitative più alte, l’Italia ha smesso da tempo di garantire il ricambio generazionale. Fin dagli anni Settanta, infatti, il tasso di fecondità è sceso sotto la soglia di sostituzione, e il numero di figli per donna continua a calare. Dopo aver raggiunto il massimo storico della popolazione alla fine del 2013, il Paese ha cominciato a decrescere, segnando una perdita che oggi si mostra strutturale e difficilmente reversibile.
Questo fenomeno non può essere invertito solo con un aumento delle nascite: anche se ci fosse un improvviso miglioramento della fecondità, nei prossimi decenni si avvertirebbe comunque una carenza di donne in età fertile, un’eredità diretta della denatalità degli ultimi decenni. Il quadro completo di questa situazione è stato delineato nel nuovo numero della rivista scientifica SINAPPSI, edita dall’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche), presentato durante un convegno al CNEL. Il numero monografico, intitolato Il cambiamento demografico nella realtà italiana: prospettive, cause e conseguenze, è stato coordinato da Gian Carlo Blangiardo, ex presidente dell’ISTAT, con i contributi di esperti e accademici di alto livello come Francesco Billari (rettore della Bocconi), Alfonso Giordano (LUISS), Alessandro Rosina (Università Cattolica), Cristiano Gori (Università di Trento), Corrado Bonifazi (CNR-IRPPS) e ricercatori dell’INAPP, come si legge su Borsa italiana.
Uno dei punti centrali riguarda il progressivo indebolimento della forza lavoro potenziale. Il cosiddetto tasso di dipendenza degli anziani – cioè il rapporto tra gli over 65 e la popolazione in età da lavoro (15-64 anni) – è già oggi superiore al 40% e, secondo le previsioni, nel 2027 arriverà vicino al 66%, superando la media europea. Ancora più preoccupante è il dato che mette a confronto diretto i pensionati con chi lavora realmente: in Italia il “peso” dei pensionati è pari al 60% dei lavoratori attivi, il valore più alto in Europa. Questo tasso è destinato ad aumentare di altri 20 punti percentuali, raggiungendo l’80% nel 2027, alla pari solo con Grecia e Portogallo.
Natale Forlani, presidente dell’INAPP, ha evidenziato che l’invecchiamento della popolazione avrà effetti profondi sia sul piano economico che sociale. In particolare, si rifletterà sulla sostenibilità del mercato del lavoro e del sistema di welfare. La riduzione delle nascite negli ultimi decenni ha già portato a una trasformazione nella struttura occupazionale: circa il 60% dei lavoratori italiani ha oggi più di 40 anni, e gli over 50 hanno superato, da almeno tre anni, i lavoratori tra i 35 e i 49 anni. Secondo le proiezioni, entro il 2040 l’Italia perderà circa 4 milioni di persone in età lavorativa, una diminuzione che mette a rischio la tenuta del sistema produttivo e sociale.
Alla luce di queste sfide, Forlani ha sottolineato l’urgenza di sviluppare una “silver economy”, un’economia che risponda ai bisogni di una popolazione sempre più anziana, mobilitando risorse tecnologiche, finanziarie e umane per garantire benessere e dignità agli anziani e ai non autosufficienti. Questo approccio rappresenta non solo una necessità, ma anche un’opportunità per ripensare i modelli economici e sociali, rendendoli più inclusivi e sostenibili in una società destinata a essere sempre più longeva.