La diffusione dell’intelligenza artificiale ha portato a diverse azioni regolamentari in tutto il mondo: l’Europa, la Cina e gli Stati Uniti, in primis, hanno adottato un approccio orientato alla gestione del rischio e hanno implementato regole precise per lo sviluppo dell’AI nel proprio Paese, ognuno con un approccio diverso e ottenendo un impatto diverso. Secondo Giuseppe Santonato, AI Leader di EY EMEIA e AI Transformation Leader di EY Italia, intervenuto oggi all’evento “AI Transition” tenutosi a Milano, la regolamentazione dell’Unione Europea ha facilitato lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Secondo un’analisi di EY, infatti, è possibile analizzare l’impatto reale delle norme imposte dai diversi Paesi attraverso quattro indicatori chiave: l’inclusione dell’AI nelle strategie pubbliche; la creazione di modelli operativi per la gestione dell’AI; la preparazione della pubblica amministrazione; e la capacità di ricerca e sviluppo dei singoli Paesi.
I Paesi europei sono ben rappresentati per quanto riguarda i primi due indicatori, ma c’è ancora molto lavoro da fare dal punto di vista della prontezza e della ricerca tecnologica. Nei prossimi due anni l’Europa deve lavorare su due aspetti fondamentali: spingere sulla propria capacità di fare ricerca creando finanziamenti dedicati importanti e concentrarsi sullo sviluppo della capacità della propria macchina operativa creando l’ambiente giusto che permetta di fare sistema e incentivare l’innovazione.
“Le regolamentazioni sull’intelligenza artificiale possono essere viste come un freno oppure come un abilitatore. Per affrontare le sfide della competitività con paesi come USA e Cina che dominano nella capacità di sviluppare e implementare l’AI, l’Europa deve lavorare per far sì che diventi un’opportunità per migliorare le proprie capacità – afferma Giuseppe Santonato, AI Leader di EY EMEIA e AI Transformation Leader di EY Italia – L’AI Act ha avuto un ruolo fondamentale in quanto ha fornito delle linee guida che hanno supportato la diffusione dell’AI in un contesto quale quello europeo estremamente frammentato anche dettando pratiche commerciali specifiche ex ante per scongiurare potenziali rischi ex post. Ora è necessario per i Paesi Europei investire seriamente nell’intelligenza artificiale. La chiave per il futuro è sviluppare la capacità dell’Europa di fare ricerca, stimolando la collaborazione tra pubblico e privato e indirizzando i fondi nei settori verticali delle industrie, poiché la nostra economia è basata su dinamiche B2B. Solo inquesto modo sarà possibile favorire lo sviluppo economico e la crescita dell’occupazione e non rallentare l’efficacia di mercato”.
Per quanto riguarda il mercato, gli investimenti mirati in AI e Industry 5.0 potrebbero portare fino all’8% del PIL in Italia entro il 2030. Attualmente, l’Italia si posiziona intorno al 20° posto per prontezza della pubblica amministrazione e capacità di ricerca. Tuttavia, l’AI Act ha già avuto un impatto positivo per quanto riguarda il livello di competenze e capacità di ricerca e sviluppo, con un indice di attrattività del +0,5, indicando che l’Europa attrae più talenti di quanti ne perda.