Nella giornata di ieri, si è svolta l’audizione del ministro dell’Economia sullo stato di attuazione del federalismo fiscale nel corso della quale è emersa la necessità di mantenere un equilibrio con le ragioni politiche della riforma e le norme UE: “Serve un bilanciamento tra garanzia dei diritti e costi” ha affermato Giorgetti.
DI seguito, il testo completo:
Introduzione e considerazioni generali
La legge delega sul federalismo fiscale (legge n. 42 del 2009) indicava i princìpi per ridefinire i rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo, con l’obiettivo di:
- rafforzare la responsabilità degli amministratori locali nei confronti degli elettori-contribuenti, in modo da consentire di valutare la corrispondenza tra quantità e qualità dei servizi ricevuti e delle imposte pagate;
- diversificare le modalità di offerta pubblica di servizi e correlarli meglio alle specificità delle preferenze locali e dei territori;
- superare la “finanza derivata” tagliando, da un lato, i trasferimenti statali, basati sulla spesa storica, e riconoscendo, dall’altro lato, spazi di autonomia finanziaria adeguati rispetto alle funzioni da svolgere.
Inoltre, nel rispetto dei principi costituzionali di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale, il processo graduale di transizione al federalismo doveva essere accompagnato da meccanismi perequativi funzionali a ridurre le disparità fiscali orizzontali tra i vari enti territoriali riconducibili alle diverse capacità di produrre gettito ovvero alle diverse esigenze di spesa.
A tale riguardo, la legge n. 42 del 2009 prevedeva che, una volta definiti i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), le funzioni fondamentali, quali sanità, assistenza e istruzioni, fossero coperte integralmente.
Per le altre funzioni o tipologie di spese decentrate era invece prevista una perequazione delle capacità fiscali, per tenere conto di livelli di risorse differenziati dei territori e consentire un tendenziale avvicinamento delle risorse a disposizione dei diversi territori, senza tuttavia alterare l’ordine delle rispettive capacità fiscali.
Nel prosieguo cercherò di ricordare gli avanzamenti che sono stati realizzati nel percorso verso la completa attuazione del federalismo fiscale, che costituisce una delle riforme indicate nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
In particolare, il federalismo rappresenta l’occasione per definire compiuti meccanismi perequativi basati su capacità fiscali e fabbisogni standard che potranno consentire sia di completare la parte “simmetrica”, sia avviare quella di tipo “asimmetrico”.
Accanto a tale riforma, l’autonomia tributaria degli enti territoriali è anche oggetto di alcune disposizioni della delega per la revisione del sistema fiscale.
Infine, elencherò le principali implicazioni per la finanza locale delle nuove regole di governance europea.
1. Federalismo fiscale, delega fiscale e autonomia differenziata: dal federalismo simmetrico a quello asimmetrico
1.1 Lo stato di attuazione del federalismo fiscale per livelli di governo
1.1.1 Federalismo municipale
I maggiori avanzamenti nel percorso di attuazione del federalismo fiscale sono stati registrati, a livello municipale, con la fiscalizzazione dei trasferimenti e la costituzione di un fondo perequativo basato sui fabbisogni standard e sulle capacità fiscali.
Il grado di autonomia tributaria dei comuni, misurato dal rapporto tra le entrate tributarie e l’ammontare complessivo delle entrate, è passato dal 26 per cento del 2010 al 38 per cento del 2022. Nello stesso periodo l’incidenza dei trasferimenti sul totale delle entrate complessive si è ridotta dal 47 per cento al 29 per cento.
Guardando alla manovrabilità dei tributi comunali, negli ultimi anni si è registrato un graduale incremento delle aliquote verso i livelli massimi sia per assicurare il finanziamento delle spese, sia per concorrere alle manovre di risanamento della finanza pubblica, anche alla luce dei dati non sempre confortanti sulla riscossione delle entrate. Oggi gli spazi residui di manovrabilità per i maggiori tributi locali (IMU e addizionale comunale all’IRPEF) sono stimati in circa 2,4 miliardi, ovvero poco più del 9 per cento delle entrate massime potenziali per i due tributi.
Per superare la distribuzione delle risorse ai comuni basata sulla spesa storica, il decreto legislativo n. 23 del 2011 ha previsto di “fiscalizzare” i precedenti trasferimenti erariali e di attivare meccanismi perequativi incentratati su fabbisogni standard e capacità fiscali tramite il Fondo di solidarietà comunale. Con riferimento a tale ultimo aspetto, ricordo che nel corso degli anni il Fondo di solidarietà comunale è stato integrato con ulteriori risorse finanziarie. Dal 2020, sono stati aggiunti 100 milioni di euro (che sono diventati 560 milioni dal 2024) per specifiche esigenze perequative e per ristorare alcuni Comuni da precedenti “tagli”. Il Governo ha pertanto rifinanziato il Fondo con riferimento a politiche di rilevante interesse sociale.
A tale proposito, a partire dal 2015 il riparto del fondo di solidarietà comunale avviene, per quote via via crescenti, sulla base di fabbisogni standard e capacità fiscali, con effetti perequativi in favore degli enti più deboli fiscalmente o più efficienti.
Inoltre, dal 2021, ulteriori risorse sono state messe a disposizione per lo “Sviluppo dei servizi sociali comunali”, per il finanziamento dei “Servizi educativi per l’infanzia” e per il “Servizio di trasporto per studenti disabili” con l’obiettivo di garantire un’offerta uniforme di servizi su tutto il territorio nazionale.
In ottemperanza alla giurisprudenza della Corte Costituzionale (Sentenza 71 del 2023) queste risorse, che raggiungeranno circa 1,9 miliardi nel 2028, sono ripartite secondo i fabbisogni standard dei comuni e sono state attribuite attraverso il FSC fino al 2024; mentre, a partire dall’anno 2025, tali risorse saranno invece distribuite attraverso il “Fondo Speciale per l’Equità nei Livelli di Servizi” con l’obiettivo di introdurre un vincolo di destinazione tra queste risorse finanziarie e i servizi per cui sono attribuite.
1.1.2 Federalismo provinciale
Il processo di attuazione del federalismo provinciale è stato condizionato, oltre che dai vincoli di finanza pubblica, anche dalle incertezze del quadro istituzionale che sembrava dover evolvere verso l’abolizione di tali enti.
Le Province si finanziano principalmente con le entrate dell’imposta provinciale di trascrizione (IPT), che ammonta a 1,7 miliardi, dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile (RC auto), che assicura entrate per circa 2,1 miliardi, e del tributo per l’esercizio delle funzioni ambientali (TEFA), con entrate annue di circa 450 milioni. Complessivamente, questi tre tributi rappresentano circa il 90 per cento delle entrate tributarie complessive di Province e Città Metropolitane.
Le entrate dei due tributi principali delle province, IPT e RC auto, sono strettamente collegate all’andamento del settore automotive, che ha manifestato tendenze in calo a seguito del rallentamento degli acquisti di veicoli a seguito dello shock pandemico. Segnali di ripresa si sono registrati negli ultimi mesi, anche tenuto conto degli effetti degli incentivi adottati dal Governo per sostenere il mercato automobilistico.
Fino al 2019, le entrate dell’IPT hanno mostrato un trend crescente (+21 per cento rispetto al 2015, passando da 1.526 milioni a 1.856 milioni) con un rallentamento seguito al calo di immatricolazioni dopo l’emergenza pandemica. Nel 2020 e 2021 le minori entrate degli enti locali sono state comunque compensate dallo Stato attraverso opportuni ristori per assicurare il corretto svolgimento delle loro funzioni. Nel 2022, le entrate IPT hanno registrato ancora una flessione di circa il 15 per cento rispetto al 2019, attestandosi a 1.587 milioni per effetto della carenza di produzione legata alle difficoltà di fornitura della componentistica. Nel 2023, invece, questo trend si è invertito mostrando un rimbalzo significativo che, pur collocandosi ancora al di sotto dei livelli del 2019, ha segnato una crescita dell’11 per cento rispetto al 2022 grazie all’aumento delle immatricolazioni e alla ripresa del mercato di veicoli usati. Segnali di ripresa delle entrate sono confermati anche nel primo quadrimestre 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023 (+10 per cento).
La dinamica delle entrate dell’imposta RC auto, correlata all’andamento dei premi assicurativi, mostra nel 2019 un calo del 6 per cento rispetto al 2015, che successivamente si è amplificato nel periodo pandemico, per effetto del significativo calo dei sinistri e dei premi assicurativi seguiti anche ai provvedimenti restrittivi che hanno limitato la mobilità dei cittadini. Nel 2023 si è registrata un’inversione di tendenza con un aumento del gettito rispetto all’anno precedente (+5 per cento), anche per effetto dell’aumento dei premi assicurativi.
Come per i comuni, anche questi enti dispongono di spazi residui di manovrabilità piuttosto limitati: infatti, la quasi totalità degli enti ha già esercitato uno “sforzo fiscale” prossimo al livello massimo previsto dalla legge (93 per cento degli enti per RC auto e 87 per cento per IPT).
La circostanza che le fonti di finanziamento delle Province e delle Città metropolitane sono collegate al settore automobilistico ha indotto il Governo, con la legge delega n. 111 del 2023 (in corso di attuazione), a inserire specifici principi per istituire un tributo proprio destinato ad assicurare l’esercizio delle funzioni fondamentali, una manovrabilità adeguata e una compartecipazione a un tributo erariale di carattere generale, anche in sostituzione di tributi attualmente esistenti.
1.1.3 Federalismo regionale
Le regioni a statuto ordinario possono istituire tributi propri regionali su presupposti non assoggettati a imposizione da parte dello Stato, cui si aggiungono ampi margini di manovrabilità sui propri tributi per la realizzazione di politiche economiche e sociali sul territorio. Oggi le principali fonti di finanziamento sono rappresentate dall’Irap, dall’addizionale regionale Irpef e dalle tasse automobilistiche.
L’Irap complessiva ammonta a circa 29,3 miliardi, di cui 18,6 miliardi derivanti dalla componente privata, mentre l’addizionale regionale all’IRPEF assicura entrate di circa 14 miliardi ed infine le tasse automobilistiche determinano entrate annue di circa 6 miliardi.
Gli spazi di manovrabilità ancora disponibili sono piuttosto contenuti. Per l’IRAP, nel 2023 erano complessivamente limitati al 12,4 per cento del gettito massimo potenziale. Lo sforzo residuo ancora esercitabile è, in generale, più ampio per le Regioni del Nord con valori mediamente superiori al 15 per cento rispetto alle Regioni del Centro-Sud dove la manovrabilità ancora disponile è generalmente inferiore al 5 per cento.
Maggiori spazi di manovrabilità sono disponibili per l’addizionale regionale all’IRPEF, che a livello nazionale erano limitati al 32,8 per cento del gettito potenziale massimo. Lo sforzo fiscale residuo delle Regioni a statuto ordinario risulta pari al 31,8 per cento del gettito potenziale massimo.
Gli spazi effettivi di autonomia tributaria delle regioni si sono ridotti negli ultimi anni. In particolare, a seguito della deducibilità integrale del costo del lavoro dalla base imponibile dell’Irap e dell’esclusione dal tributo delle persone fisiche esercenti attività commerciali ed esercenti arti e professioni, disposta dalla legge di bilancio per il 2022.
Alla luce delle variazioni intervenute, con riferimento alla manovrabilità e alla flessibilità delle entrate è, quindi, importante procedere all’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che rappresentano un prerequisito essenziale per valutare le risorse necessarie a finanziare in ciascuna regione le funzioni fondamentali e i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale.
1.2 Il federalismo regionale nella legge delega di riforma fiscale
In linea con gli impegni assunti nel PNRR, la legge delega n. 111 del 2023 ha individuato specifici princìpi e criteri direttivi affinché il Governo possa realizzare la piena attuazione del federalismo fiscale regionale, modificando il decreto legislativo n. 68 del 2011.
In primo luogo, la realizzazione del federalismo “simmetrico” prevede che, a seguito dell’abolizione dei trasferimenti erariali, alle regioni a statuto ordinario dovrà essere assicurato un ammontare di entrate tale da lasciare in ogni caso invariata la pressione fiscale sui contribuenti. A tal fine, la compartecipazione all’IVA dovrà essere ripartita secondo il principio di territorialità, anche sulla base di dati fiscali a disposizione dell’Amministrazione finanziaria.
Tale attività è oggetto di specifiche milestones del PNRR da realizzare nell’ambito della riforma abilitante del quadro fiscale subnazionale (M1C1 – Riforma 1.14). Ai fini del conseguimento di questi obiettivi, si stanno attuando le previsioni dell’articolo 13 della legge di delega n. 111 del 2023, al fine di definire i trasferimenti in favore delle Regioni a statuto ordinario che dovranno essere soppressi dal 2027, i necessari meccanismi
correttivi per la fiscalizzazione dei trasferimenti, il principio di territorialità per l’attribuzione della compartecipazione IVA, i livelli essenziali delle prestazioni e le modalità di perequazione.
In relazione a tali aspetti, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard ha redatto un documento finale che riporta l’elenco dei trasferimenti fiscalizzabili (pari a circa 10 miliardi) che investono rilevanti ambiti di competenza regionale (trasporto pubblico locale, politiche per la famiglia, giovani e disabilità, politiche sociali e per le non autosufficienze, agricoltura, istruzione, formazione professionale, diritto allo studio universitario).
Il Dipartimento degli affari regionali sta tenendo riunioni per valutare come dar seguito a tale riforma. Merita segnalarsi che, nell’ambito dei trasferimenti da fiscalizzare, particolare attenzione dovrà essere prestata a quelli relativi al settore del trasporto pubblico locale di parte corrente, che ammontano alla metà del totale (circa 5 miliardi).
La legge delega prevede, inoltre, di “razionalizzare i tributi regionali”, oltre che di semplificare gli adempimenti e gli altri procedimenti tributari, e di modificare, abolire o trasformare alcuni tributi propri derivati in tributi propri regionali, o in tributi regionali dotati di maggiore autonomia.
Sono attualmente in corso le attività istruttorie per predisporre uno o più decreti attuativi di tali principi, anche per superare gli ostacoli operativi che hanno impedito la completa realizzazione del federalismo fiscale.
Tra questi in particolare, ricordo che l’articolo 2 del decreto legislativo n. 68 del 2011 prevedeva di incrementare l’addizionale regionale all’Irpef per le regioni a statuto ordinario, e di mantenere inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente. Per perseguire questo obiettivo stabiliva di ridurre le aliquote dell’IRPEF di competenza statale. Questa misura è stata inattuabile per diversi anni, perché avrebbe di fatto determinato due scale di aliquote IRPEF sul territorio nazionale: una per le regioni a statuto ordinario e una per le regioni a statuto speciale e avrebbe creato un sistema tributario a “doppio binario” con ingiustificate discriminazioni tra contribuenti, in manifesta violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza che devono permeare l’attività legislativa e amministrativa.
1.3 Autonomia differenziata: dal federalismo simmetrico a asimmetrico
Il completamento del federalismo regionale “simmetrico” dovrà anche essere coordinato con l’attivazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che attribuisce alle regioni che ne facciano richiesta “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” e definisce le modalità procedurali di approvazione delle propedeutiche intese fra lo Stato e la Regione interessata.
Si tratta di una riforma di rilievo, che restituisce ai territori la possibilità di valorizzare le potenzialità e le risorse dei territori che possono derivare da una maggiore efficienza rispetto alla gestione centralizzata di alcune funzioni.
Tale attività richiede un bilanciamento tra garanzia dei diritti e costi, nel quale assumeranno un rilievo sempre maggiore i costi standard delle prestazioni, da un lato, e il livello essenziale delle prestazioni, in modo da contemperare la garanzia costituzionale dei diritti sociali su tutto il territorio nazionale e l’uniformità dei livelli essenziali di servizio con la necessaria sostenibilità delle finanze pubbliche.
La legge n. 86 del 2024 disciplina la procedura per la sottoscrizione delle intese tra Stato e Regioni del regionalismo differenziata. Entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, il governo dovrà adottare i decreti legislativi che individueranno i LEP tenendo conto che, per le funzioni relative a materie o ambiti di materie diverse da quelle loro riferibili, il trasferimento potrà essere effettuato nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente e secondo le modalità stabilite nelle singole intese.
Tale attività richiederà pertanto di valutare, innanzitutto, le materie e funzioni oggetto di devoluzione e, conseguentemente, le modalità di finanziamento delle stesse, che possono includere la compartecipazione regionale al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale.
Lo spostamento di nuove funzioni alle regioni comporterà, pertanto, un ridimensionamento della spesa pubblica sotto il controllo del governo centrale. Sarà comunque necessario continuare ad assicurare la funzione anticiclica del bilancio pubblico, consentendo che la gestione di bilancio possa continuare a stabilizzare le fluttuazioni del sistema economico in caso di shock, secondo gli obiettivi di politica economica; per perseguire questi obiettivi tutte le Regioni dovrebbero contribuire alla sostenibilità finanziaria, nel rispetto dei vincoli di bilancio costituzionali e di quelli europei.
Anche per queste ragioni, le nuove modalità di riconoscimento di forme rafforzate di autonomia richiedono che i due percorsi, quello del federalismo “simmetrico” e quello del federalismo “asimmetrico” siano coordinati, almeno sotto due profili, quello che condurrà a definire i LEP e quello che, a seguito dell’individuazione delle funzioni trasferite alle regioni, condurrà a determinare le compartecipazioni per il finanziamento dell’autonomia differenziata.
Inoltre, il finanziamento del regionalismo differenziato dovrà essere raccordato con il sistema ordinario di finanziamento delle funzioni che già tutte le Regioni svolgono nell’assetto attuale, quali la sanità, una parte dell’assistenza sociale, l’istruzione professionale e il trasporto pubblico locale, affinché la dimensione delle compartecipazioni necessarie a finanziare l’autonomia differenziata non interferisca con l’implementazione del sistema ordinario di finanziamento delle Regioni.
1.4 Aggiornamento sui lavori del Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei LEP (CLEP) e fabbisogni
L’individuazione dei LEP e dei relativi fabbisogni vede impegnati diversi attori, tra cui la cabina di regia presieduta dal Ministro delegato per gli affari regionali e le autonomie, la Commissione tecnica fabbisogni standard e il Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei LEP (cd. CLEP), incaricato di fornire supporto alla cabina di regia.
In particolare, il CLEP ha definito metodi e criteri per cercare di individuare una nozione di livelli essenziali delle prestazioni che, sebbene entrata nel testo costituzionale con la revisione del 2001, non ha ancora trovato una sua precisa fisionomia.
Il passo successivo consiste nell’effettuare la ricognizione della spesa storica, nel complesso e per ciascuna regione, relativa alle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
A tal fine, la segreteria tecnica presso la cabina di regia ha avviato incontri con i rappresentanti dei Ministeri, per associare le proposte di LEP agli stanziamenti con carattere permanente dei capitoli del bilancio dello Stato.
Si sta, comunque, valutando anche la possibilità di strutturare il bilancio dello Stato con unità contabili che mostrino la stretta correlazione tra stanziamenti e livelli essenziali delle prestazioni. In tal senso, potrà valutarsi una riforma delle azioni.
2. Difficoltà riscossione enti locali: esempi di miglioramenti (TARI). Interoperabilità banche dati. Convenzione con IFEL
2.1 Sintesi quadro di riferimento riscossione enti locali
La riscossione rappresenta un nodo centrale della gestione finanziaria degli enti locali, dal momento che, come ho già rappresentato, sono sempre più limitati i margini di manovra entro i quali gli enti possono agire per incrementare il livello delle proprie entrate.
L’analisi dei rendiconti trasmessi alla Banca dati delle Amministrazioni Pubbliche e relativi all’arco temporale 2020-2022 mostra che l’ammontare dei residui attivi è cresciuto nel tempo (da circa 74 miliardi nel 2020 a poco meno di 85 miliardi nel 2022), a dimostrazione di un abbandono graduale dell’accertamento per cassa e di rilevazione dei crediti nel rispetto dei principi contabili.
Allo stesso tempo è aumentato l’importo dell’accantonamento del fondo crediti di dubbia esigibilità, passato da circa 32 miliardi nel 2020 a poco meno di 35 miliardi nel 2022. Un andamento che riflette performance di riscossione che stentano a migliorare e che impongono conseguentemente un importo dell’accantonamento più elevato anche a fronte di un ammontare maggiore di residui attivi.
I dati mostrano che la difficoltà nella riscossione costituisce la principale causa delle crisi finanziarie degli enti locali, tant’è che l’introduzione in via normativa di una specifica disciplina per la nuova fattispecie del risanamento finanziario, che si basa sulla stipula di Accordi dapprima circoscritta ad alcune grandi Città (Torino, Napoli, Reggio Calabria e Palermo) e poi estesa ad altre importanti città in crisi finanziaria (Alessandria, Avellino, Brindisi, Lecce, Genova, Potenza, Salerno, Venezia e Vibo Valentia) ha dato buoni risultati. Tali accordi prevedono un percorso che, a fronte di un contributo statale pluriennale, richiedono un adeguato sforzo fiscale dell’ente destinatario e alcune modifiche di carattere organizzatorio.
In particolare, è stato previsto il potenziamento degli strumenti di riscossione (anticipo nella consegna dei carichi tributari, strumenti deflattivi del contenzioso, implementazione sistemi informativi), oltre a misure volte alla razionalizzazione del patrimonio, delle partecipazioni societarie, nonché alla riorganizzazione delle strutture amministrative.
Il monitoraggio degli accordi sta mostrando che gli enti interessati, in linea generale, stanno rispettando gli obiettivi e i cronoprogrammi concordati.
Il rispetto degli equilibri di finanza pubblica, anche alla luce delle nuove regole europee, richiede di avviare riflessioni su quali possano essere le migliori modalità per rafforzare la capacità di riscossione delle proprie entrate da parte degli enti locali e, al contempo, migliorare la compliance spontanea di tutti i contribuenti.
La riscossione delle entrate degli enti locali è già stata interessata – a partire dalla legge di bilancio del 2020 – da una significativa riforma improntata alla semplificazione e alla razionalizzazione: sono stati, ad esempio, offerti agli enti locali nuovi strumenti e nuove opportunità per migliorare ed efficientare i risultati in termini di riscossione delle loro entrate.
Inoltre, un contributo in tal senso può derivare dall’utilizzo delle banche dati, secondo un approccio mirato non solo a trasferire dati agli enti locali, ma piuttosto a condividere strumenti interconnessi tra tutti i diversi livelli di governo che partecipano all’attività di riscossione, come previsto anche dalla recente legge di delega fiscale.
Diversi aspetti di miglioramento della riscossione sono contenuti nella legge di delega fiscale, i cui decreti attuativi sono in fase di definizione.
In particolare, mi riferisco, per quanto riguarda i tributi regionali, all’estensione dell’accertamento esecutivo e alle tipologie di definizione agevolata, anche sotto forma di adesione a quelle introdotte per le entrate erariali.
Con riferimento alle disposizioni sugli enti locali, è stata estesa la possibilità di adempiere mediante compensazioni tra debiti e crediti degli enti, privilegiando l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari, con sistemi premiali di riduzione delle sanzioni.
È stato approvato in via definitiva il decreto legislativo delegato recante disposizioni in materia di riordino del sistema nazionale della riscossione che, in attuazione dei criteri e principi direttivi contenuti nell’articolo 18 della legge 9 agosto 2023, n. 111, opera un completo riassetto organizzativo della riscossione, con il fine di incrementare l’efficienza di tale sistema. In tale ottica, è stata prevista l’introduzione di una pianificazione annuale delle procedure di riscossione svolte da Agenzia delle entrate- Riscossione sui crediti affidati dagli enti creditori, anche secondo logiche di raggruppamento dei crediti per singolo soggetto debitore. La pianificazione delle attività di riscossione è adottata con il coinvolgimento della Conferenza Unificata che rappresenta gli interessi degli enti territoriali.
Il miglioramento complessivo della performance della riscossione è perseguito anche riconoscendo agli enti creditori, ivi inclusi gli enti territoriali, la possibilità di chiedere all’Agente della riscossione nazionale la riconsegna anticipata dei carichi ad esso affidati rispetto ai cinque anni previsti per il discarico automatico.
Ricordo che, tra i collegati alla legge di bilancio per il 2024, rientra anche la riforma del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL), nell’ambito della quale è intendimento del Governo valutare una revisione delle disposizioni concernenti gli enti locali in condizione di sofferenza finanziaria e le relative procedure di risanamento finanziario in casi di dissesto e predissesto.
2.2 Strategie di miglioramento della capacità di riscossione
Delineato il quadro complessivo dello stato attuale del sistema della riscossione, e degli aspetti evolutivi previsti dalla legge di delega, passo a illustrare alcune strategie atte a migliorare la capacità di riscossione degli enti locali superando, in chiave costruttiva, le criticità che oggi connotano il sistema stesso.
La sfida della digitalizzazione che il nostro Paese dovrà affrontare nei prossimi anni è sempre più collegata all’integrazione delle banche dati tra diversi livelli di governo per estrarre valore dal vasto patrimonio informativo della Pubblica Amministrazione e, in particolare, dell’Amministrazione finanziaria.
In tema di riscossione dell’IMU, il sistema tende verso un adempimento guidato dell’obbligazione tributaria, attraverso la realizzazione di un’applicazione informatica, da rendere disponibile ai contribuenti sul Portale del federalismo fiscale. A partire dal 2025, sarà infatti implementato un sistema di determinazione delle aliquote IMU basato su fattispecie imponibili individuabili dai comuni esclusivamente tra quelle predeterminate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.
Tale novità permette, da un lato, di delimitare il perimetro entro il quale il comune può esercitare la sua potestà regolamentare, dall’altro, consente ai contribuenti, comprese le software house, di disporre di un valido supporto per il corretto pagamento dell’IMU.
In questa ottica, si inserisce la linea relativa all’attività di riscossione disciplinata nell’ambito dello svolgimento della convenzione tra MEF e IFEL, che prevede di intervenire su specifici fabbisogni dei comuni per prevenire e risolvere le criticità che possono insorgere sul versante della riscossione. Al buon esito di tale attività concorrono tutti gli elementi evidenziati in precedenza ai quali fa da corollario quello di rafforzare le competenze dei funzionari dei comuni preposti alla gestione delle entrate in tutte le sue fasi, ivi inclusa l’attività di accertamento e riscossione coattiva.
Insieme all’interoperabilità dei dati, l’adozione di strumenti innovativi come le piattaforme informatiche avanzate e l’uso di tecniche di intelligenza artificiale, potrà consentire alle amministrazioni di monitorare e analizzare in modo dettagliato le entrate, individuando eventuali scostamenti rispetto alle previsioni e confrontando le loro performance in termini di riscossione con quelle di enti con caratteristiche dimensionali, reddituali simili, al fine di sviluppare strategie mirate per ottimizzare la riscossione e verificare il corretto adempimento dei versamenti da parte dei cittadini.
3. Governance europea e prospettive di riforma per gli enti territoriali
L’entrata in vigore delle nuove regole di bilancio europee richiedono di rivedere la normativa nazionale in tema di concorso degli enti territoriali al rispetto delle stesse.
La quota di spesa pubblica sotto il controllo di questi enti (comprensiva di quella sanitaria) è pari, complessivamente, a circa un terzo di quella del complesso delle Amministrazioni pubbliche, rendendo pertanto necessario un loro contributo al conseguimento degli obiettivi di spesa.
Nell’ambito della revisione della normativa contabile nazionale, diverse sono gli elementi che dovranno essere tenuti in considerazione nella definizione di un testo normativo di riforma.
In particolare, dovrà essere valutato il perimetro di saldi e aggregati di bilancio per la realizzazione degli obiettivi complessivi. Queste presteranno, in particolare, attenzione al livello degli investimenti, per assicurare la loro realizzabilità.
Le modalità di partecipazione degli enti territoriali ai vincoli derivanti dall’applicazione della nuova governance economica europea dovranno inoltre confrontarsi con il percorso di attuazione del federalismo fiscale e dell’autonomia differenziata. In particolare, sarà necessario assicurare che eventuali vincoli sulla dinamica della spesa siano compatibili con il fabbisogno finanziario delle funzioni fondamentali e con l’erogazione dei LEP.