Si prospetta un addio definitivo alle imposte nazionali sui redditi dell’economia digitale: otto paesi dovranno abolire le proprie web tax, Italia inclusa (con Austria, Francia, India, Spagna, Tunisia, Turchia e Regno Unito).
Il prelievo verrà applicato secondo un diverso meccanismo che prevede che la tassazione sia esercitata nel paese del consumatore e non in quello dove ha sede l’operatore. L’Ocse ha sciolto il nodo della convenzione multilaterale che servirà a implementare il primo pilastro della riforma del fisco internazionale, quello che tratta la tassazione delle 100 società più profittevoli al mondo, come delineato dall’accordo a due pilastri firmato da quasi 140 paesi nell’ottobre del 2021.
Ieri l’Inclusive Framework dell’Ocse/G20 sull’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili ha pubblicato per la prima volta il testo della convenzione multilaterale per l’attuazione dell’importo A del primo pilastro che sposta i diritti di tassazione delle multinazionali del tech verso i paesi-mercato, dove si trovano i consumatori digitali (indipendentemente dalla loro presenza fisica), rispetto ai paesi in cui queste società hanno una sede legale.
Il testo della convenzione sarà presentato ai ministri delle finanze del G20 prima del loro incontro in Marocco questa settimana. Per entrare in vigore, 30 paesi che contano almeno il 60% delle multinazionali interessate dovranno ratificare il trattato presentato, il che significa che gli Usa dovranno essere necessariamente a bordo. Come riportato nella Convenzione pubblicata, esistono ancora dei punti da chiarire, in particolare, Brasile, Colombia e India nutrono riserve su come le loro imposte esistenti potranno interagire con il nuovo regime fiscale. L’Ocse stima che la riallocazione di circa 200 miliardi di dollari di fatturato delle 100 società più profittevoli al mondo genererà entrate fiscali globali aggiuntive comprese tra i 17 e i 32 miliardi di dollari, sulla base dei dati del 2021, con i paesi a basso e medio reddito che ne trarranno i maggiori benefici.
Le modifiche si applicheranno alle multinazionali con più di 20 miliardi di euro di fatturato e un margine di profitto superiore al 10%, molte delle quali sono società del tech, un cavillo richiesto dagli Stati Uniti per evitare che la riforma puntasse direttamente ai giganti Usa. Per le società colpite dal primo pilastro, il 25% dei loro profitti superiori a una franchigia del 10% sarà tassato nei paesi in cui si trovano gli utenti.“La comunità internazionale ha lavorato a stretto contatto per risolvere le rimanenti questioni tecniche alla base dell’accordo storico sulla riforma della tassazione internazionale”, ha affermato il segretario generale dell’Ocse, Mathias Cormann. “Il testo della Convenzione multilaterale pubblicato fornisce ai governi la base per l’attuazione coordinata di questa riforma fondamentale del sistema fiscale internazionale e rappresenta un progresso significativo verso l’apertura della Convenzione alla firma”.
La direttrice del centro fiscale dell’Ocse, Manal Corwi, ha aggiunto che la mancata ratifica del testo “potrebbe portare a gravi conseguenze” non solo perché potrebbe innescare una proliferazione nell’uso delle imposte unilaterali sui servizi digitali, ma potrebbe portare ad ulteriori ritorsioni commerciali, come precedentemente annunciato dagli Stati Uniti.Per quanto riguarda il secondo pilastro, invece, quello che prevede l’implementazione di una aliquota minima al 15%, sarà in vigore dal prossimo anno in Ue e in Italia. Il ministero dell’economia e delle finanze aveva messo in consultazione fino al 2 ottobre 2023 lo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva (Ue) 2022/2523 che ha l’obiettivo di attivare la global minimum tax.
Si prevede che la tassa minima globale genererà fino a 200 miliardi di dollari di entrate aggiuntive all’anno. Per l’Italia si stima un gettito al ribasso di 3 miliardi di euro all’anno. Ma tutto è da vedere come le multinazionali adatteranno le proprie strutture giuridiche alle riforme.