di Riccardo Porta
Per un futuro più green torneremo a lavorare in miniera. Per forza. Vogliamo le auto elettriche? Vogliamo litio, cobalto, silicio e altri materiali critici per la transizione energetica? Dobbiamo ritornare in miniera.
Pechino controlla circa il 60% della produzione mineraria e oltre l’80% della raffinazione globale: la Commissione europea, per contrastare questa dipendenza, domani presenterà un pacchetto di proposte per lo sviluppo di nuove miniere e impianti metallurgici.
È una impresa titanica perchè la maggior parte dei Paesi europei osteggia interventi di questo tipo che hanno solitamente un impatto sul territorio e sull’ambiente. Un bisogna trovare il modo di dare un colpo al cerchio e uno alla botte.
Al momento siamo tutti al palo, l’unica eccezione recente la fa la Germania dove, nell’Alta Valle del Reno, la Vulcan Energy (che collabora anche con Stellantis) ha un impianto pilota per produrre litio a zero emissioni con la geotermia.
In Italia, a Gorno (Bergamo) abbiamo però piombo e zinco, a Punta Corna in Piemonte c’è il cobalto, tra la bassa Toscana e il Lazio c’è il litio ad alte concentrazioni nei fluidi geotermici di antichi vulcani, in Liguria ci sono vene di titanio. Per non parlare di Sardegna e Sicilia, ricche di minerali di ogni genere, che un tempo venivano estratti in grandi quantità.
Riuscirà la Commissione europea, a fronte di lauti finanziamenti, a riaprire un capitolo che sembrava ormai rilegato ai libri di storia?