di Maurizio Pimpinella
Recentemente, nel mondo dei social network è tutto un “fiorire” di spunte blu. Le grandi piattaforme, da Meta a Twitter, stanno infatti cambiando pelle, e spesso modelli di business, introducendo nuovi servizi a pagamento. La novità, tuttavia, rappresenta più che altro una manifestazione di debolezza da parte di queste imprese attraverso l’ammissione di tre punti principali:
- I social gratuiti fanno parte del passato;
- Il modello di remunerazione basato solo sulla pubblicità non è più sufficiente;
- E’ quindi necessario diversificare le fonti di guadagno;
A questi tre punti se ne affianca un terzo che, nonostante l’importanza, rimane però in sottofondo, la sicurezza a doppia velocità dei profili.
Con un abbonamento di 11.99 dollari al mese (14.99 per gli utenti IOS) Meta Verified permetterà l’autenticazione del profilo in maniera del tutto simile a quello degli influencer. In questo modo, gli utenti avranno anche una protezione rafforzata contro i furti d’identità e l’accesso prioritario all’assistenza. Il servizio partirà preliminarmente in Australia e Nuova Zelanda, per poi estendersi in Europa e negli Stati Uniti.
La fine delle piattaforme gratuite, o meglio alimentate dalla monetizzazione dei dati degli utenti, ci renderà tutti “influencer” o questo passo rappresenta anche l’inizio della fine del modello degli influencer per come lo conosciamo oggi e, in qualche modo, dei social network stessi?
È evidente, infatti, che i passi mossi da Meta e Twitter siano solo i primi verso un modello di social network tutto a pagamento, e magari anche con premi e remunerazioni nei confronti dei creator. Un modello però che cozza con l’ideale libertario e democratico con cui queste piattaforme erano state creare a suo tempo e che oggi, finito definitivamente il tempo delle vacche grasse dopo lo zenith del periodo pandemico, si stanno sempre più confrontando con una realtà che non solo è sempre più distante da quella patinata che mostrano ma che non è più nemmeno sostenibile. La conferma di questa affermazione è data in particolare dalle decine di migliaia di licenziamenti che stanno operando tali imprese, divenute ormai too big to walk, e bisognose quindi di una corposa cura dimagrante (di capitale umano).
In sottofondo alla vicenda, come un convitato di pietra, il tema della sicurezza sarà sottoposto ad una nuova definizione, ciò che potrebbe condurre alla definizione di nuovi livelli di affiliazione e di interazione: in alcuni casi anche qualitativamente diversi.
Col passare del tempo, è probabile che i servizi a pagamento – che ad oggi rappresentano al massimo una parte risibile dei fatturati – diventino sempre più presenti, fino a diventare di fatto indispensabili per avere accesso anche ai servizi più basici. In una tale situazione, le community stesse degli influencer saranno forse molto motivate, coese e interattive ma anche molto meno nutrite di quanto non lo siano ora, così come le pagine stesse dei social network.
Le persone, quindi, spegneranno i propri telefoni e torneranno a popolare le piazze delle città? Improbabile, per non dire impossibile. Semplicemente, si sposteranno altrove, su altri social network, ad iniziare da Tik Tok, i cui modelli sono più sostenibili. Mentre per quanto riguarda le schiere delle centinaia di content creator digitali (e di presunti tali) che popolano le piattaforme, andranno ad asciugarsi. In questa nuova veste – a meno di spostarsi altrove in virtù di una diversificazione degli strumenti digitali già avviata da tempo – saranno premiati i contenuti davvero interessanti e strutturati, ovvero quelli alla cui base vi è vera ricerca e professionalità: ciò che nell’era del “broadcast yourself” cambia anche (in meglio) i paradigmi dell’intrattenimento generalizzato e della promozione via web.