L’obiettivo dichiarato di Expirit è chiaro quanto ambizioso. Come da loro stessi indicato nel sito aziendale, Expirit lavora per “costruire destinazioni” per offrire un’esperienza senza precedenti ai viaggiatori e promuovere lo sviluppo delle bellezze delle comunità italiane meno note. La rivalutazione dei borghi, delle aree meno conosciute – ma sempre bellissime del nostro Paese. Ciò che Expirit si propone di essere per i territori e le comunità locali è di fungere da vero e proprio motore “per la rinascita e lo sviluppo”, capace magari anche di avviare percorsi ed iniziative virtuose. È quindi un piacere intervistare Giacomo Andreani, CEO e co fondatore di Expirit dal quale ci aspettiamo di ricevere interessanti notizie e più di uno spunto di riflessione.
Iniziamo con l’attualità, che estate è stata questa che ci stiamo mettendo alle spalle, che è forse la prima in cui abbiamo avuto i primi veri sentori post pandemici?
Sicuramente un’estate di ripresa e di concretizzazione per tanti stranieri del “sogno italiano”, che si è espresso nel “gran ritorno” delle città d’arte, ma anche in una nuova consapevolezza verso nuovi modi di viaggiare, sostenibili e che privilegiano anche territori fuori dai grandi circuiti.
Da dove nasce l’idea di Expirit?
Da un fortunato incontro dopo il sisma tra mio padre, un docente dell’Università di Macerata e un professionista del settore. Mi sono unito alla “sfida” che si stava proponendo, quella di aiutare, con il turismo, i territori e le comunità ferite dal terribile sisma del centro Italia del 2016.
Lo scopo che vi siete prefissati rivolge un servizio duplice. Da un lato favorite la rinascita di comunità locali lontane dalle strade più battute, dall’altro permettere ai viaggiatori di godere dei tesori che la nostra penisola custodisce anche nei suoi angoli più remoti. Un compito complesso ma impagabile. Qual è il modus operandi di Expirit e quali sono le iniziative attualmente in essere?
Impagabile è l’aggettivo giusto. Quando le visioni diventano realtà che danno lavoro, che creano bellezza, che emozionano e arricchiscono chi ci entra in contatto, i sacrifici e gli sforzi compiuti sono nulla di fronte a tutto questo. I nostri progetti partono dalle persone, dai loro “sogni”, che siano amministratori pubblici, o operatori del settore, o giovani che vogliono scommettere sul turismo per il loro futuro.
Lavoriamo in primis sulla riscoperta, sulla consapevolezza, sul senso di appartenenza, su una visione comune che spinge a remare tutti dalla stessa parte. Questa è la parte più complessa. Una comunità felice di accogliere è una comunità dove la qualità dell’esperienza sarà sicuramente maggiore.
Venendo dal mondo della pallavolo, mi piace paragonare il destination marketing a una partita.
Come nello sport la presenza del pubblico allo stadio (e il suo reale coinvolgimento) determina la qualità percepita dell’esperienza (al di là della qualità dei singoli atleti in campo), così, nel turismo, la presenza di una comunità ospitale, partecipe e unita verso un obiettivo comune concorre a determinare la capacità di attrazione e la qualità dell’esperienza complessiva vissuta dal turista, determinando il successo o meno di una destinazione. La disponibilità e la passione delle persone del posto (nell’organizzare eventi, nel dare un’informazione, nel far sentire il turista un ospite atteso…) rappresentano i prerequisiti da cui partire per un serio processo di sviluppo di una destinazione.
Questo ragionamento è, a mio parere, ancora più sentito nei piccoli centri, che magari non posseggono attrattori di primo piano, ma che possono diventare mete appetibili se il visitatore respira un’atmosfera accogliente e positiva, in cui sentirsi parte di un qualcosa di “familiare” e di unico.
Storicamente, l’Italia manifesta un deficit in termini di capacità attrattiva rispetto al fascino (riconosciuto unanimemente) che esercita sui turisti. Secondo lei quali, sinteticamente, quali sono le cause principali di questo fatto e quali potrebbero essere i primi correttivi da adottare?
L’Italia è – secondo le principali statistiche – il paese che fa sognare più di tutti. Tuttavia, il nostro Paese, presenta delle criticità che rischiano, nonostante la bellezza e l’unicità del nostro patrimonio culturale, di compromettere l’esperienza una volta giunti in destinazione.
La prima cosa che chiedo di fare agli amministratori che si rivolgono a Expirit è quella di tramutarsi in turisti internazionali e provare a “testare” la destinazione, dal momento dell’arrivo in aeroporto fino all’arrivo e alla visita in città: infrastrutture non sempre all’altezza, difficoltà linguistiche dagli stessi addetti all’accoglienza, problemi di pulizia, una purtroppo non rara “cultura” di voler approfittarsi dell’ingenuità delle persone da fuori, la difficoltà di conoscere gli orari di apertura di un museo, l’impossibilità di prenotare online…
Fare marketing e management di destinazione non significa lanciare l’ennesima app di promozione, ma lavorare con una visione condivisa, degli obiettivi chiari e una governance strutturata per rendere il territorio attrattivo, accogliente e sempre propositivo.
Considerata anche la sua straordinaria biodiversità, l’Italia sembra spesso come spezzata in due per quanto riguarda il turismo. Lasciando da parte le città d’arte, le quali vivono anche loro di una alta e di una bassa stagione, il Paese, pur in maniera fortemente approssimativa, sembra spesso essere suddiviso in due parti: il centro sud per le vacanze estive e il centro nord per quelle invernali. Quali possono essere invece delle iniziative operative per allungare in questi territori le stagioni turistiche?
Ripensando il concetto di motivazione di viaggio, lavorando sul “perché” una persona dovrebbe scegliere il nostro territorio a Novembre o a Marzo.
Il mio consiglio è quello di progettare l’offerta:
– valorizzando la stagionalità delle produzioni enogastronomiche e dei paesaggi
– investendo su eventi e festival tematici di più giorni
– rivolgendosi a nicchie di pubblico che hanno la possibilità concreta di viaggiare in ogni periodo dell’anno (penso ad esempio al silver tourism) e anche per periodi più prolungati (in primis nomadi digitali e ai lavoratori da remoto)
– sviluppando proposte ad hoc per il mercato internazionale in occasione delle festività dei vari paesi, coinvolgendo tour operator e altri intermediari.
Da non sottovalutare, in ogni caso, la reale disponibilità del territorio e delle sue aziende ad “ospitare” ininterrottamente in tutti i periodi dell’anno, e la “convenienza” a farlo.
Come si sposa il digitale con la vostra attività?
Il digitale, unito al ruolo strategico dei dati, ci permette di:
– conoscere le esigenze e le tendenze della domanda (anche quelle meno visibili) e potenziare l’offerta;
– promuovere le destinazioni in maniera mirata, al pubblico giusto, nel luogo giusto e al momento giusto, raggiungendo potenzialmente chiunque;
– gestire e mantenere relazioni di lungo termine con i nostri visitatori;
– disegnare esperienze immersive;
– ottimizzare la gestione dei processi interni, anche in termini di una governance partecipata, dialettica e basata su evidenze dimostrate.
Il nostro lavoro è far sì che le destinazioni maturino una cultura del digitale, inteso come approccio scientifico, come reale opportunità grazie alla tecnologia di accelerare il proprio sviluppo. Purtroppo, troppo spesso assistiamo a corse frenetiche a “digitalizzare” che rischiano di provocare più danni che altro.
Formazione e competenze, ambiti su cui voi siete già molto attivi, in un contesto come il turismo, a volte lasciato all’improvvisazione, potrebbero darci un vantaggio competitivo?
Professionalità, passione e correttezza. Le chiavi per rendere l’Italia la destinazione non solo più sognata, ma anche la più apprezzata.
Mi ricordo una frase pronunciata alcuni anni fa da una volontaria della pro loco di un borgo dell’alto maceratese con cui collaboriamo: “Quella persona avrebbe potuto scegliere altre centinaia, se non migliaia di luoghi in tutto il mondo. Invece ha scelto noi e ora si trova qui, a centinaia di chilometri da casa sua, e a 200 metri da casa mia. Il nostro impegno? Fargli sentire che ha compiuto la scelta giusta!”.
Questo è il gusto dell’accoglienza e il sentimento che auguro di provare a ogni operatore turistico italiano.
Per concludere, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro, qual è la direzione che intendete prendere?
Sono due, a mio parere, le sfide più grandi che abbiamo di fronte, in questo mondo che corre.
La prima: il governo delle destinazioni. È di fondamentale importanza pianificare dove si vuole andare, cosa si vuole raggiungere e con quali risorse. Ogni giorno nascono (sulla spinta di bandi, contributi…) e lentamente muoiono progetti di destinazione senza una governance e una programmazione economico-finanziaria chiara. In Italia ancora fa fatica a radicarsi una cultura del destination management. In molti territori il turismo è concepito come un’azione hobbystica, anziché come un’industria che va regolata, promossa e, appunto, governata.
La seconda: la creazione di motivazioni. Motivazioni per investire per il proprio tempo, le proprie competenze, il proprio denaro. Motivazioni per i residenti, per gli operatori del turismo e per i viaggiatori, per un tempo di lavoro e di vacanza di valore.
Il digitale ha svelato l’invisibile. Anche le più piccole strutture, anche i territori più nascosti hanno la loro chance per farsi conoscere e apprezzare. Con una nuova concezione del tempo (e della vita) arrecata dalla pandemia, e un’informazione sempre più vasta, la vacanza diventerà sempre più un momento per vivere il proprio “sogno” e alimentare le proprie passioni. Vinceranno le destinazioni che sapranno scegliersi i propri viaggiatori e costruire qualcosa di introvabile altrove.