di Avv. Umberto Piattelli
Dopo aver condotto una prima analisi sul mercato delle criptovalute (Parte I) riferita ad un’analisi preliminare dei più recenti provvedimenti normativi allo studio, completiamo la stessa con questo secondo intervento che fa il punto sulle caratteristiche giuridiche dei tokens e degli NFT.
- Aspetti giuridici delle criptovalute
Fino all’entrata in vigore della V direttiva antiriciclaggio, con la quale si è inteso combattere il fenomeno (tra quelli maggiormente segnalati) dell’anonimato connesso all’utilizzo delle criptovalute, conseguente alla mancata verifica sulla identità dei soggetti che tramutano denaro avente corso legale in moneta virtuale e viceversa, da parte dei soggetti che offrono i relativi servizi, non esistevano leggi o regolamenti che disciplinassero esplicitamente il fenomeno delle criptovalute in Italia o nella UE.
In tale contesto, quindi, l’unico supporto è stato fornito dalle pubblicazioni delle autorità di vigilanza, come l’EBA, l’ESMA, la Consob e la Banca d’Italia, che hanno cominciato, per ragioni di competenza, ad esaminare questa materia.
L’ESMA, avendo preso atto della mancanza di una definizione di criptovaluta nella legislazione comunitaria, si è chiesta se questi strumenti potessero rientrare nell’alveo di applicazione delle disposizioni emanate con la direttiva MIFID II e ha rilevato come, in conseguenza di una ricerca effettuata in materia dalle autorità regolamentari degli Stati membri, emergessero sostanziali differenze; in alcuni casi si tratterebbe di “beni digitali” assimilabili agli strumenti finanziari, in altri casi si tratterebbe invece di strumenti che rappresentano una utilità, ovvero ancora sono stati rinvenuti casi di criptovalute che sono qualificabili come un insieme dei due precedenti tipi[1], con ciò sostanzialmente concludendo che, per le autorità regolamentari, sarebbero assimilabili agli strumenti finanziari con l’eccezione di quelli definiti come utility.
Nella medesima data (9 gennaio 2019) anche l’EBA ha pubblicato un “Report with advice for the European Commission” sulle criptovalute nel quale veniva presa in considerazione la categoria delle monete di pagamento o di scambio (come appunto i Bitcoin), che non attribuiscono diritti, ma servono solo come mezzo di scambio per comprare o vendere o per finalità di investimento e ha sollevato la questione se le criptovalute possano rientrare o meno nella categoria della moneta elettronica come definita dall’articolo 2, comma della direttiva 2009/110/CE ai sensi della quale per «moneta elettronica» si intende: “il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso dietro ricevimento di fondi per effettuare operazioni di pagamento ai sensi dell’articolo 4, punto 5), della direttiva 2007/64/CE e che sia accettato da persone fisiche o giuridiche diverse dall’emittente di moneta elettronica”.
L’EBA segnalava inoltre come l’attività di exchanger e di custode dei portafogli creati con l’emissione di criptovaluta potesse essere molto pericolosa, e come entrambe le categorie dei predetti soggetti dovessero essere ricomprese nell’ambito di applicazione della direttiva AML, ma soprattutto come fosse necessario tutelare i consumatori posto che tale tipologia di servizi risultava “del tutto priva di una regolamentazione che informi sui rischi del sottostante investimento, di trasparenza e di informazioni sulla natura della licenza di cui dispongono questi soggetti, ove esistente, così come su tutti gli ulteriori rischi connessi all’utilizzo delle monete virtuali”.
Proprio per effetto delle raccomandazioni avanzate dalle autorità precedentemente citate, troviamo quindi una prima definizione di moneta virtuale o criptovaluta nella V Direttiva antiriciclaggio che all’articolo 3 ha inserito i seguenti paragrafi:
“18) «valute virtuali»: una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente;
19) «prestatore di servizi di portafoglio digitale»: un soggetto che fornisce servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali.”
al fine di consentire l’applicazione delle disposizioni di cui alla direttiva anche a questi strumenti.
Così, in seguito all’entrata in vigore della V Direttiva AML, recepita in Italia con il Decreto Legislativo 4 ottobre 2019, n. 125, è iniziata ufficialmente la regolamentazione delle criptovalute, con la quale è stato stabilito che i prestatori di servizi di cambio tra valute virtuali e valute aventi corso legale (vale a dire le monete e le banconote considerate a corso legale e la moneta elettronica di un paese, accettate quale mezzo di scambio nel paese emittente) e i prestatori di servizi di portafoglio digitale (che, precedentemente, non erano soggetti all’obbligo dell’Unione di individuare le attività sospette) siano assoggettati agli obblighi applicabili ai fini dell’antiriciclaggio e del contrasto del finanziamento del terrorismo così da consentire alle autorità competenti di monitorare, attraverso i soggetti obbligati, l’uso delle valute virtuali; disciplina poi ulteriormente integrata con l’adozione del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 13 gennaio 2022, con il quale è stata definita la procedura per la registrazione da parte di quei soggetti che intendono svolgere servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e servizi di portafoglio digitale, sul territorio nazionale.
- Tipologie di tokens e regolamentazione applicabile
Tenuto conto di quanto precede è quindi sorta spontanea la domanda su come fare a distinguere a quale delle sopra citate categorie apparterrebbe un token, sull’assunto che le relative caratteristiche dovrebbero essere descritte nel relativo White Paper, documenti che sono preparati dal soggetto che intende promuovere una Initial Coin (o Item o Token) Offering.
Il White Paper, infatti, è il documento predisposto per: (i) fornire una dettagliata descrizione del progetto che l’emittente vuole finanziare (scopo del progetto, dettagli tecnici, analisi di mercato, business case, informazioni sull’uso dei fondi raccolti, ecc.), (ii) definire il contenuto dei tokens emessi, (iii) spiegare come si acquistano e quali diritti conferiscono ai loro acquirenti.
Va tuttavia evidenziato come il problema delle raccolte eseguite mediante emissione di criptovalute, almeno nel recente passato, sia stato causato proprio dal fatto che spesso i White Papers non chiarivano affatto quali fossero i diritti riconosciuti all’acquirente, ma anzi specificavano piuttosto spesso cosa il token emesso non era, ad esempio, indicando che il token non è uno strumento finanziario, non conferisce diritto a dividendi o a interessi, non è rimborsabile, non consente di votare nelle assemblee della società, (onde cercare di evitare l’applicazione delle norme connesse all’emissione di strumenti finanziari) né permette di acquistare beni o servizi.
In molti casi pertanto, le raccolte prevedono l’emissione di un token che apparentemente rientra nella famiglia dei currency token, poiché non rappresenta una partecipazione sociale, il cui valore reale è del tutto teorico e che, di conseguenza, assumiamo sia acquistato sul presupposto che accresca il suo valore in futuro e quindi possa essere scambiato dall’acquirente con altre criptovalute (come Bitcoin o Ether) o ceduto contro denaro avente corso legale.
Considerato che la tripartizione dei token prevalente (security, currency, utility) sembra oramai pacificamente ammessa sia dalla dottrina che delle autorità, possiamo ipotizzare che, in assenza di disposizioni normative vigenti e come suggerito dal testo del MICAR[2], ci siano quindi, almeno tre differenti discipline che possono essere applicate in considerazione della effettiva qualificazione del token che sarà emesso. Tratteremo infine la categoria asset-referenced tokens, meglio noti come stablecoins.
2.1 Security Tokens.
Laddove si tratti di una emissione di tokens qualificabili come (a) un investimento in prodotti finanziari, così come definiti dall’articolo 1, comma 1, lettera u) del TUF e (b) uno strumento finanziario, è evidente che in assenza di specifiche esenzioni, l’operazione dovrà essere assoggettata alle norme del TUF, così come al citato Regolamento Emittenti, non diversamente da un’operazione di Initial Public Offering, se l’emissione superasse l’importo complessivo di euro 8 milioni e per quanto concerne la vendita di strumenti finanziari (tra l’altro operata a distanza).
La questione inerente a ciò che deve essere qualificato come un investimento di natura finanziaria è stata più volte tratta anche dalla Consob[3] che, attraverso alcune Comunicazioni, ha stabilito come tale un investimento che abbia tutte le caratteristiche di seguito indicate: (i) l’impiego di capitali (ii) un aspettativa di rendimento e (iii) l’assunzione di un rischio connesso all’impiego del capitale.
Infine, un ulteriore ambito di indagine potrebbe essere quello teso a verificare se un token possa essere assimilato alla categoria degli strumenti finanziari derivati così come definiti dall’articolo 2426, comma 2, c.c., che richiama la definizione di cui ai principi contabili internazionali adottati dall’Unione Europea. L’OIC 32 definisce come un derivato quel contratto o strumento finanziario che possieda, congiuntamente, le seguenti caratteristiche: “(a) il suo valore cambia in relazione al cambiamento di un tasso di interesse, di un prezzo di uno strumento finanziario, di un prezzo di una merce, di un tasso di cambio in valuta estera, di un indice di prezzi o di tassi, di un merito di credito (rating) o indici di credito o altra variabile prestabilita (alcune volte denominata “sottostante”); (b) non richiede un investimento netto iniziale o richiede un investimento netto iniziale che sia minore di quanto sarebbe richiesto per altri tipi di contratti da cui ci si aspetterebbe una risposta simile a cambiamenti di fattori di mercato; (c) è regolato a data futura”[4].
La necessaria compresenza di tutte e tre le caratteristiche di cui innanzi evidenzia inoltre la natura geneticamente aleatoria dello strumento finanziario; nel caso di un security token, normalmente non ricorre la condizione prevista dal punto (c) che precede, in quanto lo stesso è regolato immediatamente, e pertanto in assenza di diritti di riacquisto/vendita da esercitarsi a data futura da una o entrambe le parti, dovremmo escludere che lo stesso possa essere qualificato come un derivato.
2.2 Currency Tokens.
I currency tokens possono essere definiti, in breve, monete virtuali che non hanno corso legale e che pertanto non devono, per legge, essere obbligatoriamente accettate per l’estinzione delle obbligazioni pecuniarie, ma possono essere utilizzate per acquistare beni o servizi, in determinati contesti.
Secondo alcuni si può affermare che, poiché una criptovaluta può racchiudere tutte le caratteristiche e, almeno potenzialmente, adempiere a tutte le funzioni della moneta, appare possibile includere un token in questa categoria, pur essendo lo stesso una moneta atopica, in quanto priva un luogo fisico di circolazione o di emissione, e adespota, poiché non c’è nessuna autorità che la controlli, e nonostante il fatto che il suo andamento dipenda solo dal comportamento degli operatori del mercato e/o dall’algoritmo che ne regola l’emissione.
Pertanto in relazione a questo tipo di token potrebbe trovare applicazione quanto indicato dalla Banca d’Italia[5], la quale ha chiarito che, in Italia, l’acquisto, l’utilizzo e l’accettazione in pagamento delle valute virtuali debbono ritenersi lecite, mentre l’attività di emissione di moneta virtuale, conversione di moneta legale in moneta virtuale e viceversa potrebbero configurare la violazione di disposizioni normative che riservano l’attività ai soli soggetti legittimati ai sensi degli articoli 130 e 131 del TUB, ovvero degli articoli 131 ter del TUB e 166 del TUF.
Se appare incerta, per lo meno nel caso dei Bitcoin, la qualificazione di strumenti finanziari, sembra per molti invece applicabile la definizione di prodotti finanziari, in quanto l’articolo 1, comma 1, lett u) del TUF contiene una definizione molto ampia di tali prodotti che sono intesi come strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento avente natura finanziaria; anche in questo caso, più correttamente, ci pare andrebbe seguita quella dottrina che ritiene necessario verificare se sussista la natura finanziaria dell’operazione, ricercandola nella sua causa, in quanto l’acquisto di Bitcoin, come nel caso di specie, era necessario per poter poi comprare le partecipazioni sociali in una società (queste si qualificabili come strumento finanziario) ma non costituiva affatto un investimento di per se stesso.
2.3 Utility Tokens.
L’ultima specie di token che andiamo ad esaminare è quella appartenente alla categoria degli Utility Tokens, i quali dovrebbero rappresentare semplicemente la contrattualizzazione del diritto del soggetto che li acquista ad usufruire di un bene o di un servizio, in futuro e quando la società emittente lo avrà sviluppato e commercializzato, ad un prezzo predeterminato che, tipicamente, dovrebbe essere inferiore a quello di mercato al quale il bene/servizio potrà essere acquistato una volta che sarà reso disponibile sul mercato.
Pur essendo possibile che il soggetto che acquista questo tipo di token, consideri tra i benefici economici che può ottenere sia (a) l’utilizzo del bene/servizio ad un prezzo molto vantaggioso, sia (b) la possibilità di lucrare sulla differenza tra il prezzo pagato (come primo acquirente) per l’utilizzo del bene/servizio e quello che sarà il reale prezzo applicato agli utenti che potranno usufruire del bene/servizio quando lo stesso sarà definitivamente disponibile sul mercato, in questa fattispecie deve rimanere assolutamente prevalente l’interesse all’acquisto del bene o all’utilizzo del servizio.
In sostanza questa tipologia di tokens, dovrà consentire esclusivamente di usufruire servizio o del bene che il suo detentore avrà diritto di acquistare (se pure ad un prezzo scontato rispetto a quello di mercato) nel momento in cui sarà disponibile sul mercato e quindi determinando sin dall’inizio un valore intrinseco legato ad una utilità futura (che si avrà diritto di acquistare o ricevere), in maniera non dissimile da quanto accade per la prevendita di un bene che, non essendo ancora disponibile sul mercato, può avvenire a prezzi scontati rispetto a quelli che saranno successivamente applicati a tutti gli acquirenti.
2.4 Stablecoins
L’analisi sino a qui condotta sulla regolamentazione delle criptovalute e delle cripto attività non può esimersi da un ultima notazione, con riferimento alle c.d. stablecoins, delle quali esisterebbero sostanzialmente tre diverse forme.
La prima forma è quella che prevede un collaterale in valuta FIAT e la stabilità di tale cripto valuta si baserebbe sul fatto che una certa quantità di moneta in corso legale, ad esempio il dollaro, venga depositata a garanzia dell’emissione della criptovalute e che pertanto le relative stablecoins siano emesse in proporzione uno a uno rispetto a tale moneta; sebbene questo metodo appaia solido, lo stesso richiede la centralizzazione e la necessità di affidarsi da un custode, che andrà controllato periodicamente da revisori, oltre ad una più che congrua dotazione di denaro avente corso legale (fatto non banale).
Nelle stablecoins di secondo tipo, il collaterale è invece sostenuto da altre criptovalute e non da dollari o oro, ma poiché le criptovalute sono instabili per definizione, questo significa che le garanzie fluttueranno e quindi che anche la moneta virtuale in realtà non sarà così stabile e sarà destinata a fluttuare.
L’ultima famiglia di stablecoins è quella che non è supportata da garanzie, trattandosi invero di monete che si basano esclusivamente sulla fiducia: chi le acquista crede che il prezzo rimarrà fisso (ad esempio a un dollaro o un euro), senza che vi sia alcun tipo di arbitraggio dei mercati per mantenerne il valore stabile. In pratica la fornitura della moneta è dettata dal valore sul mercato della stessa e se il prezzo supera un dollaro, l’offerta di moneta aumenta per riportarlo in basso, mentre quando il prezzo è inferiore a un dollaro/un euro, l’offerta invece diminuisce.
Nei primi due casi il collegamento ad un bene sottostante ha portato ad utilizzare la definizione di asset-referenced tokens, per riferirsi a questa tipologia di token; lo sviluppo di tali criptovalute ha comunque destato l’attenzione del legislatore europeo sotto diversi aspetti.
Come rappresentato dal Comitato Esecutivo della BCE, le stablecoins globali sono iniziative che mirano ad acquisire una forte presenza a livello mondiale senza necessariamente utilizzare i sistemi di pagamento o i sistemi di compensazione e regolamento esistenti.
La stessa Commissione Europea ha attentamente analizzato il fenomeno e ha quindi ipotizzato l’adozione di misure per la definizione di un regime normativo specifico e ha quindi deciso di emanare un regolamento (il MICA) che prevede l’applicazione norme di differente natura a seconda che si tratti dei c.d. asset-referenced tokens o di e-money tokens.
In tale contesto è stato altresì previsto di demandare all’EBA il compito di stabilire quando una stablecoin possa essere considerata significativa o sistemica.
- Le principali questioni giuridiche connesse agli NFT
Nel corso del 2021 si è assistito ad un nuovo fenomeno legato alle cripto attività, trainato dalle vendite di token non fungibili (c.d. “NFT”), ovvero dei “certificati” crittografici, generalmente creati su blockchain[6] Ethereum[7] liberamente commerciabili, solitamente utilizzati per dimostrare la proprietà di beni virtuali (ovvero fisici), nonché la titolarità di specifici diritti afferenti a quest’ultimi, che possono variare caso per caso; a differenza delle criptovalute e della maggior parte degli strumenti finanziari che sono fungibili, gli NFT sono unici e infungibili (ossia non sono interscambiabili tra loro come, a esempio, le criptovalute), anche qualora il bene sottostante potrebbe non esserlo.
Gli stessi offrono, dunque, un modo per stabilire una versione “originale” o “autentica” di contenuti o beni digitali, che altrimenti potrebbero essere facilmente duplicabili.
Alcuni NFT, inoltre, incorporano smart contract, che determinano, a esempio, le modalità di interazione tra l’acquirente e il contenuto di tale strumento; tale codice è bloccato su blockchain come parte del token e si avvia automaticamente quando si verificano determinati eventi. Ad esempio, uno smart contract potrebbe essere impostato per garantire che l’accesso al bene digitale incorporato nel token sia concesso soltanto dopo il pagamento, o che l’autore del bene digitale riceva un pagamento ogni volta che tale strumento viene venduto.
Gli NFT, quindi, costituiscono un’evoluzione della proprietà materiale, avendo la capacità di incorporare una notevole varietà di diritti (e di obblighi), in base ai quali potrebbero rientrare, a seconda del caso, in una delle categorie di token esaminata in precedenza.
Ciò premesso, nonostante il rilevante trend di sviluppo del mercato e gli impressionanti prezzi di vendita di alcuni di questi NFT, permane ancora un certo grado di incertezza sulla natura degli stessi e sulle questioni giuridiche sottese al loro utilizzo, in ragione dell’assenza, come già ampiamente evidenziato, di una disciplina giuridica organica della materia e se pure la relativa regolamentazione potrebbe a breve essere definita attraverso l’adozione del regolamento MiCA, attualmente oggetto di consultazione.
Tenuto conto di quanto precede, anche con riferimento alla problematica rilevata per quanto concerne il contenuto dei White Papers, nell’ambito di transazioni aventi ad oggetto NFT, sembra, quindi, importante che i soggetti emittenti definiscano con chiarezza quali diritti vengano “ceduti”.
Allo stesso modo, un approccio chiaro consentirebbe agli acquirenti degli NFT di comprendere più facilmente l’oggetto del proprio acquisto; ed inoltre, eventuali funzionalità tipiche di uno smart contract che siano contenute e codificate all’interno di tale cripto attività, potrebbero non essere immediatamente percepibili dall’acquirente che dovrebbe, quindi, svolgere una due diligence per verificare quali diritti e quali obbligazioni derivino dall’acquisto effettuato, nonché i potenziali impatti sul valore attuale o futuro del NFT e del bene che dovrebbe rappresentare.
A tale riguardo, se il valore di un NFT risiedesse invece nella scarsità digitale dello stesso o del bene sottostante, l’emittente potrebbe avere interesse a limitarne la suddivisione (e, per l’effetto, dovrebbe implementare accorgimenti adeguati per garantire il rispetto di queste restrizioni) e gli acquirenti avrebbero diritto a richiedere garanzie in tal senso; qualora, invece, l’NFT o il bene sottostante avessero un valore elevato, il frazionamento del relativo token (senza che influisca sul bene sottostante) consentirà di originare un’opportunità di investimento anche per nuove categorie di investitori, che altrimenti non avranno la possibilità di accedervi (c.d. tokenizzazione della ricchezza).
L’estensione dei diritti (e dei correlati obblighi) di cui l’acquirente diverrà titolare dipenderà, quindi, dalla codifica o dallo smart contract incorporato nello stesso (o dalle condizioni di vendita di cui al relativo contratto “tradizionale“); infatti chiunque crei ed emetta un NFT, inoltre, dovrà valutare se lo stesso sia o meno qualificabile come uno strumento finanziario o di pagamento e/o se la sua offerta in vendita o la fornitura di servizi a questi correlati (come la custodia o una piattaforma di scambio) costituiscano attività riservate sotto il profilo della regolamentazione finanziaria.
- Considerazioni conclusive
Al termine di questo duplice escursus in materia di criptovalute, crediamo risulti piuttosto chiaro come questo nuovo strumento di finanzia tecnologica abbia pervaso i mercati e, sia stato utilizzato, almeno sino a poco tempo fa, in maniera talvolta indiscriminata, per scopi non sempre del tutto leciti.
Centrale, in tale contesto, si è rivelata la mancanza di qualsivoglia forma di regolamentazione in materia, vuoi per la difficoltà di applicare i regimi normativi esistenti in via analogica, vuoi per la rapidità con cui il fenomeno si è sviluppato rendendo, di fatto, impossibile ai policy makers procedere con l’adozione di specifiche norme di riferimento.
Se poi si aggiunge a tale quadro generale, la difficoltà dell’inquadramento giuridico dello strumento criptovaluta, considerata la flessibilità con cui lo stesso può essere utilizzato per finalità anche molto diverse tra di loro, come ben rappresentato dalla tripartizione tra utility tokens, currency tokens e security tokens (che potrebbe rivelarsi certamente non esaustiva delle categorie alle quali fare riferimento in questo settore come abbiamo visto a seguito del riferimento alle stablecoins), ci si può rende effettivamente conto delle difficoltà che sono emerse a seguito dell’impetuoso utilizzo, e connesso sviluppo, che le stesse hanno avuto.
È altresì di tutta evidenza come la lentezza del Legislatore mal si concili con l’esigenza di dare certezza alla rapida e continua evoluzione scientifica e tecnologica dell’economia, risultando evidente la facilità con cui le normative settoriali diventano obsolescenti; tuttavia, il numero di provvedimenti legislativi adottati ed in corso di adozione da parte degli Stati Membri (o di quelli extracomunitari), insieme alle proposte allo studio da parte del legislatore comunitario, delineano un nuovo quadro normativo che appare destinato a cambiare in maniera radicale la materia, così come è già avvenuto per altri settori innovativi della finanza tecnologica (si pensi in particolare a quello dei pagamenti, recentemente rivoluzionato dalla PSD2) e a divenire, in tempi più o meno brevi, il punto di riferimento tanto atteso ed invocato.
Come sempre, in situazioni di questo tipo, si deve auspicare che le nuove regole portino chiarezza per gli operatori coinvolti, evitando gli arbitraggi normativi derivanti dalla loro mancata armonizzazione (almeno a livello comunitario) senza causare, per contro e come troppo spesso è accaduto, una totale paralisi del mercato ed il blocco dell’attività degli operatori già presenti, per non aver correttamente tenuto conto delle loro aspettative e della legittima esigenza di poter svolgere questa tipologia di attività; in questo senso, lo sforzo prioritario del giurista dovrebbe essere quello di portare le più opportune ragioni a favore di una graduale eliminazione dei divieti esistenti e della introduzione di nuove ma più coerenti limitazioni.
Resta solo da chiedersi se la digitalizzazione abbia raggiunto uno sviluppo tale da determinare, in maniera costante e nell’arco di periodi di tempo sempre più ristretti, cambiamenti radicali del mercato dei servizi finanziari (intesi nella loro accezione più generica), costringendo parimenti il legislatore ad adottare continuamente e tempestivamente nuove norme, per evitare che si creino aree grigie o incertezze legislative tali da pregiudicare o mettere a rischio la tutela degli interessi degli utenti finali di questi servizi.
[1] ESMA Advice Initial Coin Offerings and Crypto-Assets, 9 gennaio 2019.
[2] Proposal for a REGULATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL on Markets in Crypto-assets, and amending Directive (EU) 2019/1937.
[3] Si vedano le Comunicazioni DEM/10016056 del 26 febbraio 2010, DEM/9057728 del 19 giugno 2009, DEM/8035334 del 16 aprile 2008 e DEM/DME/5017297.
[4] OIC 32, paragrafo 11.
[5] Banca d’Italia, 30 gennaio 2015, Nota contenente “Avvertenza sull’uso delle così dette valute virtuali”.
[6] La blockchain (o DLT) è definita «un database aperto e distribuito in grado di registrare transazioni in modo efficiente, verificabile e permanente»; tale sistema si potrebbe anche definire come un registro pubblico e decentralizzato che sfrutta la tecnologia «peer-to-peer» per validare transazioni tra due parti in modo sicuro, verificabile e permanente, cfr. U. Piattelli, La regolamentazione del fintech: dai nuovi sistemi di pagamento all’intelligenza artificiale, edito da Giappichelli, 2020, pag. 207 e ss. L’art. 8-ter, comma 1, Legge 1° febbraio 2019, n. 12 definisce una DLT come segue: “Si definiscono ‘tecnologie basate su registri distribuiti’ le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili.”
[7] Ethereum costituisce una particolare piattaforma blockchain per la creazione e pubblicazione peer-to-peer di smart contract, in un linguaggio di programmazione in grado di completare qualunque istruzione. La rete peer-to-peer Ethereum richiede il pagamento della potenza computazionale attraverso l’ether, che svolge la funzione sia di unità di conto sia di pagamento dei servizi della stessa rete. Ethereum, dunque, è utilizzabile sia per scambiare valori digitali sia per far girare “contratti” basati su Ethereum.