di Maurizio Pimpinella
Per quanto riguarda l’approccio alla trasformazione digitale l’Italia è il Paese delle contraddizioni.
È, ad esempio, il Paese con uno dei più alti livelli di contratti di telefonia mobile pro capite (circa 86 milioni, oltre 25 milioni in più dell’intera popolazione, compresi i neonati e gli ultraottantenni) ma siamo costantemente tra le ultime posizioni quanto a competenze digitali dei cittadini, alfabetizzazione digitale e capacità di utilizzare tali strumenti.
Le nostre imprese il più delle volte comprendono la necessità della digitalizzazione dei processi e del passaggio verso l’online; tuttavia, da un lato non investono abbastanza in tale direzione e dall’altro peccano in competenze per fare determinate scelte come dal punto di vista della sicurezza, dell’accesso ai bandi, ai voucher eccetera, come confermato anche dal rapporto Kearney 2021.
Si tratta di un limite che accomuna tanto le imprese quanto le amministrazioni pubbliche ad un punto tale che siamo sistematicamente uno dei paesi più “incapaci” ad ottenere e spendere i famosi fondi europei. Secondo, infatti i dati conferiti dalla Corte dei Conti UE, relativi al periodo 2014 – 2020, l’Italia è il Paese UE che ha assorbito meno i fondi europei, con una media di poco superiore al 40%.
L’Italia è in qualche modo vittima di se stessa, della nostra storia e della nostra cultura che quasi mai viene aggiornata e utilizzata in maniera innovativa per mantenere un significativo vantaggio competitivo di cui potremmo tranquillamente godere, ciò che, invece, si traduce in un altrettanto significativo digital gap. Un gap che purtroppo conduce allo scollamento della popolazione dalla realtà e dalle opportunità che offre e che, se rilevante verso l’esterno sul piano europeo, lo è altrettanto anche sul piano interno in cui persistono ampie differenze tra imprese e cittadini del centronord e del centrosud. Uno scenario sostanzialmente confermato anche dal Rapporto Svimez 2021, in cui è indicato che la più grande sfida della ripartenza è rappresentata dalla capacità di attuazione dei provvedimenti previsti nel PNRR: un compito cui è necessario dare seguito anche in virtù della collaborazione tra enti locali e imprese legate al territorio.
Ovviamente, non tutto è da stigmatizzare. In Italia esistono anche tante eccellenze, ma troppo spesso appaiono più come delle eccezioni le cui best practice non sono poi imitate dal sistema nella sua interezza. Tuttavia, è necessario che tale crescita divenga sistemica, diffusa e omogenea nei territori e nelle comunità locali che sono i nuclei base da cui deve partire il cambiamento.
Il più recente radicamento del lavoro da remoto, il cambio delle abitudini dei cittadini e il nuovo scenario pandemico dell’ultimo biennio hanno certamente influito sull’evoluzione dei modello di business delle imprese e sulla necessità di implementare maggiori strategie digitali per favorirne lo sviluppo. Tuttavia, questo cambiamento, per quanto rilevante, rappresenta più che altro un’accelerazione nel percorrere una strada che era già evidente. Semplicemente, ciò che nel 2019 (forse) poteva ancora essere procrastinato nel 2020 e nel 2022 non può più attendere, e non lo farà, siano essi singoli individui, imprese o persino istituzioni.
Per questi motivi, è in fase di avvio un progetto di inclusione digitale sui territori, dedicato alle imprese ma anche ai cittadini, che abbiamo chiamato digital tour, che partirà con le tappe in presenza itineranti proprio dalle regioni del Mezzogiorno. Questo passaggio è simbolico ma anche sostanziale ed è teso proprio ad evidenziare con iniziative concrete – che seguiranno in una fase successiva – quanto sia fondamentale per il nostro Paese promuovere la digitalizzazione e favorire l’inclusione di imprese e cittadini a partire da quelle aree: perché senza la digitalizzazione e l’inclusione del Mezzogiorno non può esistere vera crescita dell’intero Paese: sarebbe come voler correre i 100 metri con una gamba zoppa.