di Maurizio Pimpinella
La sensibilità dei sistemi dinamici rispetto alle condizioni iniziali è studiata da una vecchia, e talvolta abusata, teoria, quella del caos, riassumibile con il classico esempio dell’effetto farfalla: il suo battere delle ali in Brasile provoca un tornado in Texas.
Da sempre, le azioni fisiche e sociali sono strettamente connesse tra di loro anche a migliaia di chilometri di distanza: un’evidenza riscontrabile storicamente in numerosi esempi, che solo a seguito dell’avvio del processo di globalizzazione, che ne ha accentuato il riverbero, hanno ottenuto maggiore rilevanza.
In questo scenario, come indicato da numerosi commentatori ed accademici, il digitale ha evidentemente funzionato da acceleratore e (aggiungiamo) accelerante dei processi evolutivi già in essere da tempo, talvolta evidenziando alle masse il cambiamento, talvolta rendendo più rapido il processo di transizione. Evidenti sono i cambiamenti subiti dalle nostre abitudini di consumo, vita e lavoro che, in molti casi, diventeranno consolidati e strutturali anche in futuro a seguito dell’esperienza pandemica.
In ogni caso, ciò che emerge fortemente in questo periodo – con il palese caso della vulnerabilità degli attacchi hacker su scala mondiale – è che la maggiore possibilità di influenzare i fenomeni attraverso il digitale è evidente dalla più ampia capacità di azione di cui godiamo anche nei momenti di più totale chiusura, ciò che però non significa essere isolati.
Anche dai nostri “castelli domotici”, infatti, riusciamo a godere di un’apertura totale rispetto al mondo globale e possiamo vivere a contatto di tutti e in ogni luogo senza spostarci, contribuendo a fare tanti “battiti d’ali” che condizionano inevitabilmente i fenomeni (per lo più sociali) che ci riguardano tutti.
Allo stesso tempo, però, ci esponiamo ai fenomeni esterni e rimanere chiusi ciascuno nelle proprie abitazioni non può metterci a riparo anche da ciò che viaggia sulla rete.
Proprio in virtù della nuova rapidità e, forse, dell’ancora più stretta interconnessione tra le persone e i vari fenomeni che li riguardano, il punto sul quale porre l’accento concerne la violenza delle crisi che possono colpirci. Sarebbe per certi aspetti troppo semplice, infatti, che queste debbano essere misurate in termini di mera “intensità” quanto piuttosto in termini di frequenza, vicinanza e rapidità.
Parlando sempre di pandemie, pensiamo ad esempio, alla peste nera, una pestilenza che mutò profondamente lo scenario economico-sociale mondiale. La peste nera prese avvio in Asia nel 1346 e, dopo essere passata in Europa, si concluse nel 1353 con decine di milioni di morti, rimanendo però sostanzialmente endemica, con episodi di recrudescenza per i secoli successivi.
Anche in un mondo che oggi definiremmo più “slow”, come quello del basso medioevo, non possiamo certo dire che gli effetti epidemiologici e sociali di quella pandemia non siano stati molto forti.
Oggi, in un mondo che viaggia a velocità superiori e le cui invisibili connessioni sono sempre più strette, diffuse, invisibili e immateriali, le crisi, che prima potevano ancora rimanere confinate a livello locale, saranno sempre più a carattere globale e, in questo senso, più forti in quanto di maggiore portata e capaci di innescare a loro volta effetti depressivi a catena.
È vero, ad esempio, che i lockdown, la necessità di autosufficienza riguardo le forniture di materie prime, l’approvvigionamento energetico e la tutela della loro disponibilità ne hanno reso incalcolabile il valore, contribuendo a rallentare una certa forma di globalizzazione, ma l’effetto di innesco di un fenomeno di portata contraria è ancora lontano dal divenire.
Anzi, ci apprestiamo a confrontarci con gli effetti di un conflitto bellico territorialmente circoscritto ma che inciderà profondamente sulle economie regionali e nazionali. Se da tempo, infatti, vi è un ritorno alle particolarità locali, con un mondo che a volte tende a chiudersi e a piegarsi su sé stesso, è proprio in virtù di questo “accartocciamento”, cui contribuisce anche la trasformazione digitale[1], che le distanze si sono ulteriormente ridotte, offrendo ulteriori possibilità di influenzare fenomeni tra loro anche molto diversi e distanti.
Nel mondo che emergerà, in cui il ruolo del digitale sarà ancora più rilevante, dovremo imparare a convivere con la possibilità ciclica e “virulenta” di crisi economiche, sociali, tecnologiche, belliche, alimentari, energetiche, epidemiche, che potranno condizionare anche le più impensabili aree del globo.
Affronteremo questa possibilità anche attraverso l’acquisizione di un’adeguata preparazione tecnica e di una particolare apertura all’innovazione da parte di istituzioni, imprese e cittadini, chiamati tutti assieme a fronteggiare i cambiamenti in corso, in maniera rapida ed efficace.
La soluzione a questi casi risiede però nella capacità di rendersi il più possibile indipendenti, pur vivendo in un sistema altamente interconnesso, in cui la particolarità locale si abbina fortemente ad un mondo che corre e che fa di tutto per influenzarla nonostante la sua resistenza.