La parola d’ordine è diversificazione nell’aggregazione
di Maurizio Pimpinella
Il sistema finanziario italiano ed internazionale stanno vivendo una profonda fase di trasformazione che li rende gli ambiti a più alta densità di innovazione. Di questi cambiamenti sono certamente protagoniste le cosiddette fintech, le imprese tecnologiche che mescolano dati ed informazioni con i sistemi digitali più avanzati per ripensare il concetto stesso di banca e di operatore finanziario; ma protagoniste, anche se spesso con alcune difficoltà, sono anche le stesse banche. Come, ad esempio, recentemente espresso anche dall’EBA, infatti: “L’uso delle piattaforme digitali nel settore bancario presenta una serie di potenziali opportunita’ sia per i clienti che per gli istituti finanziari e offre un notevole potenziale di trasformazione”, tuttavia bisogna anche essere organizzati per cogliere il cambiamento ed accompagnarlo.
Ed è da esigenze di crescita e di sostenibilità in rapporto agli investimenti in competenza ed infrastrutture che, a partire da metà degli anni Settanta, sono nati i consorzi di servizi bancari, frutto dell’unione di banche, enti operativi di categoria, associazioni di categoria eccetera. Sorti inizialmente come risposta alla rivoluzione indotta dallo sviluppo dell’informatizzazione nei processi operativi e di business, sono poi rimasti sulla scena finanziaria come portatori a loro volta di innovazione e competenze.
La particolarità e il punto di forza di questi soggetti risiedono anche nel fatto che i soci (o almeno alcuni di essi) sono allo stesso tempo anche i principali clienti in un stretto rapporto di dare e avere che fa della “solidarietà” nelle competenze e negli intenti uno dei fondamenti dei consorzi, consentendo anche ai più piccoli operatori di essere competitivi in periodi di trasformazione digitale e di difficoltà come questo della pandemia. Questo è pressappoco il modello di fondo che con le rispettive evoluzioni e differenze ha dato vita nel panorama nazionale a CSE, SEC, Cabel e Cedracri. Come recentemente evidenziato anche dal Governatore della Banca d’Italia Visco, “nel sistema bancario permangono condizioni di fragilità principalmente di dimensioni medio-piccole e con modelli di attività tradizionali. Per molte di queste ad una bassa qualità del credito si sommano difficoltà nel contenimento dei costi e nel rispondere alle sfide della innovazione tecnologica “. Ciò evidenzia ancora una volta il grande impatto che la “ rivoluzione digitale” ha sui modelli di business e su quelli operativi della banche e i grandi investimenti indispensabili per tenere il passo con questa evoluzione. Una risposta concreta e positiva a queste esigenze viene proprio dalle attività svolte dagli operatori specializzati in servizi di outsourcing bancari attivi da tempo in Italia e che hanno svolto e continueranno a svolgere un ruolo cruciale nel consentire alle banche, in particolare medio piccole, di affrontare le sfide tecnologiche che sono state affrontate attraverso la condivisione di investimenti, soluzioni, infrastrutture, garantendo al contempo i necessari gradi di differenziazione competitiva tra i vari soggetti.
A seguito del consolidamento del modello dell’open banking, della maggiore diversificazione dei servizi e dell’ampliamento della competizione, stiamo quindi assistendo sia ad un crescente sviluppo di nuove partnership sia ad una maggiore concentrazione degli attori finanziari in soggetti sempre più ampi e ramificati. La parola d’ordine è diversificazione nell’aggregazione. Per intenderci, l’esempio di questa tendenza sono sia il costante allargamento a nuovi settori di new player come Amazon sia la strategia che stanno conducendo soggetti come Worldline e Nexi. In questo scenario, pertanto, si inseriscono perfettamente anche i consorzi che già nascono ispirati da logiche di diversificazione e collaborazione. D’altra parte, dal punto di vista normativo i piccoli operatori sono spesso penalizzati dal doversi adeguare a normative ritagliate sui grandi gruppi, inoltre la maggiore richiesta di servizi digitali impone loro un flusso costante di investimenti per tenere il passo dei soggetti più innovativi: la differenza rispetto al passato è che ora in questa vasta arena che è il mercato dei servizi finanziari per essere e rimanere competitivi è necessario individuare nuovi prodotti o offrire quelli vecchi in maniera più efficace, ovvero quelli che hanno capacità di creare valore dalle novità che la tecnologia propone. Ed è qui che le strutture di servizi, ed in particolare quelle in cui gli stakeholder ricoprono anche il ruolo di clienti, possono recitare una parte di primo piano.
Non a caso i fondi di investimento da qualche tempo hanno acceso un faro su queste realtà e come abbiamo visto in alcuni casi hanno acquisito società di servizi (e i consorzi lo sono, come dimostra la recente acquisizione di Cedacri da parte del gruppo Ion) consapevoli del grande potenziale e valore che posso far emergere a loro beneficio. Un valore che di recente è anche accresciuto tenendo conto del potenziale competitivo portato dall’open banking su scala nazionale ma anche europea, con l’avvento di numerosi nuovi operatori di settore e non.
In definitiva, i consorzi finanziari rappresentano un valore aggiunto per il sistema economico e finanziario italiano, essendo portatori allo stesso tempo di innovazione e tradizione, anche attraverso la loro funzione di stimolo alla crescita e all’evoluzione di quei contesti in cui è particolarmente radicato un approccio conservativo pur mantenendo un alto livello di competitività (sfruttando tutte le opportunità che la tecnologia mette a disposizione) anche nei confronti delle realtà in cui l’impatto della digitalizzazione è più forte.