di Maurizio Pimpinella
Facendo sempre riferimento al PNRR, che come detto da più autorevoli voci rappresenta davvero un’occasione di rilancio imperdibile per l’Italia, il nostro Paese ha destinato 6,68 miliardi di euro, pari al 3,5% del totale, ad interventi nella cultura. Verrebbe da dire finalmente.
Per completezza, dalla cifra complessiva vanno però sottratti i 2,4 miliardi già in capo al settore del turismo, il tutto ad evidenziare come il legame tra questi due ambiti sia stretto. Detto questo, sarebbe una buona idea far transitare dalla cultura una parte consistente dell’alfabetizzazione digitale. La digitalizzazione in questo caso deve essere uno strumento che da un lato permette di comunicare e fruire la cultura e dall’altro che agevola questo passaggio per i cittadini.
La cultura digitale, diffusa e utilizzata attraverso il web e ogni strumento di nuova generazione, è un insieme di conoscenze e competenze sviluppate grazie alle nuove tecnologie. Nel senso più ampio del termine la cultura digitale rappresenta una delle più forti accezioni attraverso cui agevolare il processo di inclusione in quanto incide direttamente sulla valorizzazione del capitale umano, sulla coscienza e sulla memoria fornendo la sovrastruttura organica e le categorie fondamentali ad affrontare il cambiamento della società.
Possedere, quindi, una cultura digitale significa rendersi pienamente conto del contesto sociale in cui si vive possedendo le necessarie competenze per farne parte. Si tratta poi uno strumento di grande importanza per tramandare la conoscenza, la consapevolezza e l’identità collettiva e per conservare la memoria stessa di un popolo e di una civiltà, proprio in un periodo come questo che per certi aspetti ha assunto varie accezioni “iconoclastiche” nei confronti di alcuni simboli della cultura.
Attraverso azioni efficaci e sforzi congiunti fra Pubblico e Privato è possibile accrescerlo in un processo che vada a beneficio di tutti. Per riuscirci serve prioritariamente un cambio di paradigma. Spesso ci siamo sentiti dire che la cultura non “dà da mangiare”, nulla di più sbagliato, soprattutto per un Paese come l’Italia così tanto ricco di bellezze. Dal ribaltamento di questa affermazione, invece, dovrebbe partire il lavoro delle istituzioni, per riuscire anche a evidenziare le opportunità che grazie al digitale possono emergere dal punto di vista lavorativo e di rilancio dell’intero sistema economico.
Digitalizzare la cultura significa sia agevolare la fruizione dei contenuti culturali (musei, concerti, opere) tramite una forma e un veicolo nuovo sia contribuire a creare la consapevolezza come risorsa per il singolo e per la comunità in quanto sapere condiviso, intelligenza collettiva e cittadinanza consapevole.
La memoria digitale non è un deposito di dati (la memoria “fisica” dei computer), ma un processo che riguarda la mente degli individui e la costruzione culturale che, attraverso supporti artificiali, garantisce la strutturazione di connessioni reticolari tra di essi. Ciò, naturalmente, conduce a un incremento dell’“innata dialogicità” della specie umana, il che equivale, naturalmente, a un conseguente ampliamento delle occasioni di scambio e, dunque, delle nuove sensibilità.
Il digitale è lo strumento principe per valorizzare il patrimonio culturale, farlo conoscere al di fuori del suo luogo fisico di ubicazione, tutelarlo e così permettergli di attraversare le epoche comunicando allo stesso tempo l’identità italiana sia per gli italiani sia per gli stranieri. Con questo fine è di particolare rilevanza l’utilizzo di strumenti di tutela, valorizzazione e comunicazione avanti tali per cui sia possibile allargare il più possibile la platea dei fruitori, ampliando al contempo le competenze digitali di ciascuno di loro.