di Maurizio Pimpinella
Se le crisi aziendali, economiche e finanziarie dell’ultimo biennio ci hanno insegnato qualcosa, è che ormai le dimensioni non contano più. Nessuno può considerarsi too big too fail, da Wirecard a Evergrande. Ma questo avremmo dovuto capirlo già nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers e l’avvio della grande crisi economica che ne è seguita.
Se l’esperienza Wirecard ci ha insegnato che anche in un Paese come la Germania (e nell’UE) può avvenire una sorta di deregulation di fatto, proprio il caso Evergrande, avvenuto in una quasi totale assenza di reali freni al gigantismo incontrollato e a prescindere dal fatto se verrà salvato o meno dal Governo cinese, rappresenta il più fulgido esempio di questa nuova fattispecie in cui, tra l’altro e forse ancor più di quanto avvenne nel 2008, sono riscontrabili somiglianze con la più famosa crisi del XX Secolo: quella del 29’.
L’ormai ex colosso immobiliare Evergrande ad oggi ha accumulato un debito superiore ai 305 miliardi di dollari e una svalutazione delle azioni vicina al 90%. Le cause della crisi, oggi come allora, sono sostanzialmente riconducibili all’ipertrofica sovraproduzione che stavolta ha riguardato il mercato immobiliare cinese. La quasi assente tassazione sugli immobili, lo sviluppo di città fantasma e (sembra paradossale) la crisi demografica che coinvolge da diversi anni la Cina hanno poi fatto il resto, conducendo ad una situazione in cui la domanda di immobili è notevolmente inferiore all’offerta e l’allocazione delle risorse è ben lontana da raggiungere l’ottimo.
Si tratta, in effetti, di una delle leggi basilari del mercato e dell’economia, in cui l’eccesso di accumulazione di risorse che non portano alcun frutto perdono di valore trascinando con sé l’intero sistema. Il fatto è che dalla seconda metà degli anni Venti del Novecento in poi, così come avvenuto anche per quanto riguardava la crisi dei mutui subprime, tendiamo troppo spesso ad ignorare i segnali che il mercato e la società ci danno periodicamente, e spesso pensiamo che le storture saranno magicamente sanate senza fare alcunché. Eppure, per quanto riguarda la Cina, sarebbe bastato immaginare che la sbornia della crescita del PIL spesso a doppia cifra – cui le imprese come Evergrande hanno contribuito sia ad alimentare ma di cui si sono anche nutrite – avesse solo il ruolo di mascherare una realtà lampante ma ignorata in nome di una rincorsa al primato e al successo – di cui l’atteggiamento governativo è stato complice come in tanti altri casi come, ad esempio, quello della crescita del fintech – ad ogni costo ma spesso privo di fondamento.
A questo proposito, giova ricordare la vera e propria caccia alle streghe che le autorità cinesi stanno intrattenendo nei confronti di Tencent (WeChat) e di Ant-Alibaba (Alipay), sedotte, pasciute, protette (anche in virtù di un sistema chiuso che ha permesso loro di agire in condizione di oligopolio), usate come strumento di politica estera e ora quasi del tutto abbandonate in nome di una recrudescenza del “controllismo” statale che mal si bilancia con il laissez faire economico di cui il settore immobiliare – e non solo – continua invece a godere. Un atteggiamento a tratti degno del più puro liberismo se non si trattasse però di un Paese che poggia le sue basi (ancora oggi) sui principi esattamente opposti.
Fatto sta che, a giudicare dalle recenti perdite delle borse un po’ in tutto il mondo dal Giappone, all’Europa agli Stati Uniti, anche una crisi che appare molto lontana da noi potrebbe invece avere ripercussioni gravissime su tutto il sistema economico mondiale. Alla fine, è probabile che, come avvenuto in passato, il Governo ci metta la famosa pezza per evitare che il “contagio” si propaghi ad altri settori economici e da lì all’estero. In tal caso, si tratterebbe però solo di un rattoppo che rimanda ad un domani non molto lontano le questioni importanti. La Cina sta affrontando una seria crisi del debito pubblico e non è certo facendone altro (come anche noi italiani dovremmo ben sapere) che si possono risolvere le questioni se non si affrontano strutturalmente i problemi. Se così sarà, aspettiamoci presto nuovi problemi. E questo nonostante si parli della seconda economia mondiale