Di Francesca Rossetti
Il crack di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca rappresenta una pagina molto negativa per l’Italia a livello politico ed economico, pero’ è al tempo stesso un’esperienza sulla quale riflettere per evitare errori simili in futuro da parte delle istituzioni. Ne parliamo con il giornalista Maurizio Crema che da sempre si occupa di questo settore.
Chi è Maurizio Crema e come nasce l’idea dell’indagine sulla banche venete che hanno fallito ?
Sono un giornalista specializzato in economia con esperienza in altri settori. La crisi delle banche venete e il loro crollo è stato un terremoto che ha coinvolto 200mila azionisti e moltissimi risparmiatori. Sono stati bruciati miliardi di risparmi e soprattutto è stata tradita la fiducia di tanta, troppa gente.
Quali errori sono stati compiuti a danno dei correntisti e come devono essere tutelati i loro risparmi ?
In generale poca chiarezza nella vendita di azioni illiquide e quindi difficilmente vendibili perché non c’era un mercato aperto. A curare le vendite di azioni di Popolare Vicenza e Veneto Banca (e delle altre banche del Centro e Sud Italia finite in crisi) erano le stesse banche. E quando vi fu necessità di reperire nuovo capitale per assolvere ai nuovi obblighi da Bce si è cercato di coinvolgere vecchi e nuovi clienti in quest’operazione, spesso persone poco informate, in molti casi passate per esperti. Si diceva: le nostre azioni sono sicure, non siamo quotati in Borsa. Si è vista come è andata a finire.
Il ruolo dello Stato in crack simili, come ad esempio per MPS e Parmalat
Mps e Parmalat sono due casi diversi. Una è una banca che lo Stato ha dovuto salvare e ora cerca di vendere con difficoltà con un’operazione che rischia di essere molto simile a quella che ha portato Intesa ad acquisire le Popolari Venete per un euro. Parmalat era una società privata, che rispondeva a logiche private di una famiglia azionista- In tutti e due i casi il vero è che i controlli non hanno funzionato. Consob e Banca d’Italia dov’erano? E’ la stessa domanda che mi pongo per le Popolari Venete.
I banchieri protagonisti del crack veneto e perché non sono state possibili fusioni con altri gruppi bancari per il risanamento
Due sono stati i protagonisti delle banche venete. Gianni Zonin per la Vicenza e Vincenzo Consoli per Veneto Banca. Non erano soli, c’erano cda, collegi sindacali, manager che li attorniavano e che hanno in qualche modo ratificato le loro decisioni o concretizzato le loro politiche. Anche in questo caso i controlli interni sono saltati. Dovevano fondersi tra di loro come aveva suggerito la Banca d’Italia, ma due galli nel pollaio… e quando hanno tentato era troppo tardi. Per anni prima hanno comprato banche in giro per l’Italia, e hanno tentato di farlo fino quasi all’ultimo come con l’Etruria. Forse questo è stato un altro problema: hanno perso le radici locali, sono diventate troppo grandi per una gestione popolare, un voto una testa, strutture autoreferenziali come questi due leader rimasti al comando per quasi vent’anni.
La banca locale ieri ed oggi, il rapporto con il territorio e i problemi legati alla chiusura delle filiali
Ieri le banche locali erano legate al territorio, vicine alla gente e ai loro clienti, conoscevano tutto dei loro affari, li aiutavano anche al di là dei bilanci, anche se poi c’era una commistione tossica. Oggi anche le Bcc si sono dovute unire in gruppi nazionali, perdendo la loro connotazione locale. E si chiudono gli sportelli lasciando interi paesi scoperti, senza servizi bancari in presenza. E sappiamo quanto contino in un’Italia con tanti anziani e tanta gente che non sa usare il computer e ha difficoltà con i telefonini. Le Poste non bastano a fare presidio.
Come è possibile agire per evitare problemi simili in futuro
Più controlli, più informazione, più formazione nelle scuole, nelle parrocchie, nelle università per anziani, in tv, sui giornali. E regole più chiare.