di Romina Nicoletti
L’Unione Europea stima che tra il 2012 e il 2016 il valore totale delle merci esportate dalle PMI sia aumentato di circa il 20%, leggermente al di sopra dell’incremento del valore aggiunto realizzato nello stesso arco temporale. Con riferimento in particolare al 2016, si rileva che circa il 36% del valore delle merci esportate dai 28 paesi della Unione Europea proveniva da PMI. C’è da aggiungere poi che tra il 2012 e il 2016 il valore delle esportazioni delle PMI in Europa è cresciuto di più del doppio rispetto al numero di imprese esportatrici: poco più del 19% contro il 9%. Questo significa che la propensione internazionale delle PMI esportatrici è aumentata anche nella dimensione e nei fatturati.
E’ importante inoltre considerare anche l’Internazionalizzazione indiretta delle PMI. In particolare, molte PMI sono fornitrici di aziende più grandi nel loro stesso paese che organizzano l’attività complessa per poi esportare nei mercati esteri finali. In Italia, ad esempio, si stima che il 3% delle micro aziende, quelle fino a 9 dipendenti, esporti una certa parte del proprio fatturato. Questa percentuale sale fino al 29% nelle aziende piccole, che hanno cioè tra 10 e 49 dipendenti, e arriva quasi al 50% per le aziende medie, che hanno tra 50 e 249 dipendenti. C’è quindi una diretta correlazione tra dimensione e capacità di andare all’estero, su cui influisce anche l’introduzione di processi innovativi e di nuovi prodotti, e grado di internazionalizzazione dell’impresa. Si osserva ancor più empiricamente che quanto più l’azienda è internazionale tanto più è la sua redditività operativa. L’internazionalizzazione enfatizza i limiti della piccola dimensione aziendale, poichè amplia il contesto ambientale e competitivo in cui l’impresa opera e quindi la dimensione minima ottimale per competere in termini sia di risorse disponibili che di capacità organizzativa, che di capacità finanziaria .
La piccola dimensione risulta un ostacolo particolarmente forte anche nella fase di progettazione e di un eventuale avvio del processo di espansione estera. Determinando tre problemi cruciali:
- mancanza di informazioni adeguate sui mercati esteri e la difficoltà ad acquisire tal informazioni in modo efficiente
- difficoltà a reperire le risorse finanziarie per sostenere investimento incerti e rilevanti richiesti per entrare in nuove aree geografiche
- deficit organizzativo e di capitale umano con competenze adeguate
Si denota spesso un vero limite di percezione per l’impresa riguardo la possibilità di internazionalizzare, spesso corredato dalla mancanza di risorse umane in grado di occuparsi delle attività di internazionalizzazione. Infine, l’ultimo fattore ad incidere è il limitate delle competenze organizzative per la gestione di un business internazionale. Occorre, quindi che l’impresa faccia investimenti anche sul capitale umano. Spesso è difficile indirizzare risorse umane verso nuove funzioni, in particolare se fortemente specifiche, legate all’internazionalizzazione. Va anche considerato che il livello medio delle competenze del capitale umano in un’impresa minore spesso non è del tutto adeguato a gestire operazioni con l’estero che richiedano elevati livelli di complessità. Quindi per porre in essere il progetto di espansione estera l’impresa deve effettuare un investimento specifico nel rafforzamento del proprio capitale umano. Questo richiede una disponibilità finanziaria considerevole e comporta anche un aumento del rischio che spesso però la piccola impresa non è in grado di sostenere. Acciò, soprattutto nella fase iniziale di un processo di internazionalizzazione, si ha convenienza nel reperire competenze in outsourcing con la consulenza di temporary export manager.