di Guelfo Tagliavini
Dopo il varo della legge 81(Maggio 2017) la ministra Madia auspicava l’applicazione di modalità di “lavoro agile” nella misura del dieci percento dell’organico della PA centrale e locale che fosse in grado di esercitare la propria attività da remoto.
Nel 2019 la ministra Dadone spingeva affinchè i nuovi modelli di lavoro introdotti dalla citata legge potessero essere estesi al cinquanta percento dei dipendenti della Pubblica Amministrazione e dichiarava che, dopo l’esperienza cogente determinata dalla pandemia che ha lasciato a casa, per decreto, la quasi totalità dei lavoratori pubblici e privati, la quota dei lavoratori della PA in modalità lavoro agile, sarebbe risultata di oltre il sessanta percento.
Al dopo pandemia non ci siamo, purtroppo, ancora arrivati ma chi invece è tornato al comando della PA è il ministro Brunetta già ministro dello stesso dicastero nel 2011.
Ecco cosa diceva l’on. Brunetta nel corso del suo primo mandato: “Alla mia PA digitale la banda larga non è indispensabile”.
Oggi invece in tema di “smart working”, modalità strettamente connessa con la capacità e copertura delle reti primarie di telecomunicazioni, (ne sa qualcosa il ministro Colao) il ministro,dopo aver tagliato le stime della Dadone del cinquanta percento afferma: “La PA utilizzerà lo smart working solo se migliorerà l’organizzazione del lavoro, l’efficienza del lavoro e aumenterà la soddisfazione del cliente. Solo se queste tre cose, contemporaneamente , risiederanno nel nuovo processo amministrativo ci sarà smart working. Altrimenti si torna nel posto di lavoro”.
Ma se per il ministro Brunetta il problema non era la banda larga/ultralarga allora forse quella che paventa essere la mancata efficienza del lavoro potrebbe essere determinata dalla carenza di programmi di formazione del personale e dall’insufficiente dotazione di strumenti e sistemi digitali (pc device, tablet, applicativi, sistemi di sicurezza…) la cui carenza è riscontrabile nelle sedi operative della PA prima e durante il Covid 19.
Forse è anche per questo motivo che non crediamo che la” soddisfazione del cliente” abbia registrato grandi oscillazioni tra il prima e il durante pandemia.
Vero è che le modalità non tradizionali di lavoro richiedono un impegno da parte del datore di lavoro, in questo caso lo Stato, in termini di investimenti nel campo della formazione ed in tutte quelle attività necessarie all’introduzione di processi innovativi.
Non facciamo passare l’Innovation work come causa di inefficienza; se mai è vero l’esatto contrario e i dati lo dimostrano. Nelle aziende private che da anni applicano criteri e modalità di smart working l’incremento di produttività è dell’ordine del trenta percento e la soddisfazione dei dipendenti ha raggiunto quote del novanta percento.
Investiamo rapidamente in tecnologie abilitanti e formazione. E ‘quello di cui ha bisogno il nostro sistema produttivo ed ancora di più il comparto dell’amministrazione pubblica.
Una PA dotata di competenze qualificate e soluzioni tecnologiche all’avanguardia può rappresentare quel “bust” che la società auspica e si attende.