L’Italia non accenna a mettersi in carreggiata per quanto riguarda la digitalizzazione ma anzi cresce il gap nazionale ed internazionale. A scattare la fotografia dello scollamento fra aree del Paese ci sono i dati del Politecnico di Milano, che ha rielaborato in chiave regionale gli indicatori che portano all’indice sintetico Desi. Lungo la Penisola si va così dal primato della Lombardia (72 il punteggio), seguita da Lazio (71,5), Provincia di Trento (68,9) ed Emilia-Romagna (66,4), fino agli ultimi posti delle regioni del Sud con Basilicata (27,8), Sicilia (26,6), Molise (24,8) a precedere la Calabria fanalino di coda (18,8). Il paradosso è che il divario non è tanto sulla dotazione infrastrutturale quanto nel capitale umano (le competenze) al punteggio di 74 del Nord fa da contraltare il 20 del Sud e Isole; 72,3 contro 31,7 nell’“uso di Internet”; 69 contro 19,3 nell’uso delle tecnologie digitali presso le aziende e 71,9 contro 32,1 sui “Servizi pubblici digitali”.
In questo scenario, il Pnrr deve però anche fare i conti con un tessuto produttivo formato per il 99% da Pmi, che generano il 69% del valore aggiunto, impiegando in media il 79% del totale degli occupati. Questa estrema frammentazione impatta direttamente sulle capacità di investimenti in innovazione. Fatto 100 il solo mercato business (imprese e Pa), le grandi imprese (oltre 250 addetti) hanno espresso nel 2019 ben il 59% degli investimenti Ict, contro il 18,8% delle medie (50-249 addetti) e il 22,2% delle piccole (1-49 addetti).
I limiti, insomma, sono tanti e si rende necessario un cambio di passo immediato per evitare che la situazione diventi presto irrecuperabile.