Negli ultimi mesi, scontro tra i colossi del web americani e i soggetti pubblici ha riguardato soprattutto le amministrazioni di paesi esteri. Di recente, invece, proprio quando il Maryland ha stabilito di avviare una propria web tax, tali imprese si stanno organizzando anche contro uno Stato interno agli USA. Amazon, Google, Facebook eccetera si sono uniti, infatti, alla Camera di Commercio deli Stati Uniti e ad altri soggetti per fare causa nei confronti della decisione del Maryland. L’obiettivo è chiaro: bloccare l’iniziativa che, secondo l’accusa, è stata definita “un assalto punitivo alla pubblicità digitale ma non su quella cartacea”, e pertanto sarebbe illegale e discriminante. Il prelievo ipotizzato di circa 250 mln di dollari per il primo anno che potrebbe arrivare ad un prelievo fino al 10% del fatturato.
Oltre ai fattori interni, la web tax del Maryland rischia di esacerbare i rapporti tra gli Stati Uniti, le imprese tecnologiche e i paesi come Francia, Italia, Turchia e Spagna (per citarne alcuni) che avevano stabilito di avviare per conto proprio la web tax in attesa delle decisioni in ambito OCSE. Se uno Stato USA avvia una misura del genere come sarà possibile impedire che gli altri stati applichino legittimamente una tassazione nel proprio paese commisurata ai proventi che tali compagnie maturano presso di loro? Una domanda cui spetta all’amministrazione Biden rispondere in maniera tutt’altro che semplicistica.