di Pierfrancesco Malu
In qualsiasi modo si risolverà questa crisi, presto avremo il 67° governo della storia della nostra Repubblica. Nei precedenti 66, si sono susseguiti 29 Presidenti del Consiglio. Nello stesso periodo, in Germania ci sono stati 25 esecutivi guidati da soli 8 cancellieri; tra Quarta e Quinta Repubblica, 9 presidenti in Francia; 16 primi ministri inglesi, espressione di 20 governi e, infine, 14 presidenti degli Stati Uniti. Potremmo continuare in questo modo anche per molti altri paesi in Europa e nel mondo, senza necessariamente dover scomodare i lunghi periodi autocratici o dittatoriali che hanno caratterizzato vari di questi dalla seconda metà del Novecento ai giorni nostri. Ciò che emerge da questi pochi e semplici dati è un limpido spaccato che testimonia la profonda crisi di stabilità che ha caratterizzato gli esecutivi italiani durante tutta la storia repubblicana. L’intelaiatura della nostra Costituzione è, infatti, concepita per delineare un sistema in cui il vero potere risiede presso il Parlamento con un Governo, ad esso strettamente legato, che ne sia sostanzialmente espressione: fatto questo che se pur vero non ha impedito all’esecutivo di esautorare attraverso un’eccesso di decretazione d’urgenza parte significativa del ruolo legislativo delle due Camere. Per la verità poi, le numerose e cicliche crisi di governo che abbiamo vissuto nel corso degli anni hanno avuto per lo più una natura extraparlamentare, che non si sono concluse quindi con un vero e proprio atto formale di sfiducia del Governo da parte del Parlamento.
L’attuale Governo, è in carica dall’autunno del 2019, a seguito del cambio di maggioranza rispetto alle elezioni della primavera del 2018. Nella mattina di oggi, 26 gennaio 2021, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha presentato le sue dimissioni nel corso del Consiglio dei Ministri, atto che verrà formalizzato probabilmente in giornata presso il Presidente della Repubblica, il vero e proprio arbitro costituzionale di questa partita. E’ in casi come questi che il ruolo spesso poco più che cerimoniale del Capo dello Stato assume maggiore valenza, in quanto spetta a lui stabilire come procedere, indirizzare la politica e, di fatto, vagliare (dietro il consiglio dei partiti e dei presidenti delle Camere) le varie opzioni. In sintesi, spetta al Presidente Mattarella offrire l’incarico di formare un nuovo Governo sempre a Giuseppe Conte, oppure ad un altra persona il cui nome sarà emerso nel corso delle consultazioni che dovrebbero partire da domani, o arrivare a sciogliere le Camere ed indire quindi elezioni anticipate.
Allo stato attuale, la situazione si presenta estremamente ingarbugliata e nessuna delle possibili soluzioni appare del tutto improbabile. Si va da un terzo incarico per Conte alle elezioni, anche se (come invocato da diversi schieramenti) si potrebbe arrivare al “governo tecnico”, come costituzionalisti e politologi odiano definire un esecutivo sostanzialmente privo di un preciso colore politico. A tutto ciò, si aggiunge una attuale legge elettorale sostanzialmente inadatta e la mancanza di tempo per produrne una nuova (soprattutto di buona qualità) che, francamente, non può essere, vista la situazione contingente, l’ennesima formula ultra proporzionale che mina fin dalle basi la stabilità politica e governativa del Paese.
Gli step della crisi:
Solo dopo aver ascoltato i rappresentanti delle forze politiche, il Presidente Mattarella potrà comprendere se ci sono gli spazi per un pre-incarico o un incarico pieno che possa poi portare ad un Conte Ter, sostenuto dall’attuale maggioranza, con gli stessi partiti e/o con altre formazioni. Nel caso in cui invece la figura di Conte risultasse improponibile, si potrebbero aprire nuovi scenari che vanno da un cambio di premier ma non dell’attuale coalizione; alla creazione di un governo sostenuto dalla cosiddetta ‘maggioranza Ursula’; e nel caso più estremo ad un esecutivo tecnico di larghe intese.
L’ultima ratio, in caso di impossibilità di formare un nuovo esecutivo, è che Matterella decida di sciogliere le Camere per andare al voto. In ogni caso, fino al giuramento di un nuovo Esecutivo nelle mani del Capo dello Stato, il governo uscente rimane in carica pe lo svolgimento degli affari correnti. Tra questi rientra l’eventuale emanazione di decreti legge in casi di necessità ed urgenza.
Come è facile intuire, la situazione è estremamente seria, soprattutto se si tiene conto anche delle contingenze che riguardano la crisi sanitaria ed economica, il pieno licenziamento di un Recovery Plan in grado di sostenere il Paese e un indirizzo di politica interna ed estera credibile nei rispettivi segmenti. Potremmo, quindi, avviare una lunga dissertazione sulle tipologie di forma di governo e di legge elettorale che riteniamo più opportune, dibattendo tra fautori della rappresentanza e quelli della stabilità. La verità è, infine, che l’Italia ha necessità di un Governo (a prescindere dalla maggioranza) nel pieno dei suoi poteri che sia capace ed abbia la possibilità di traghettare il Paese fuori dalle sabbie mobili nelle quali rischiamo di impantanarci tragicamente. Ciò di cui non abbiamo certo bisogno e che nessuno di noi si augura.