Si alza ancora il livello dello scontro, per ora solo verbale, tra Italia e Stati Uniti per quanto riguarda la web tax. Per Washington, la web tax italiana è discriminatoria. I dazi sui prodotti alimentari italiani potrebbero essere imminenti. L’amministrazione americana sta riflettendo su sanzioni coordinate nei confronti della dozzina di paesi che ha introdotto la tassa unilaterale. L’imposta sui servizi digitali (Dst) adottata dall’Italia danneggia le aziende statunitensi ed è incompatibile con i principi fiscali internazionali, ha dichiarato l’ufficio governativo del Rappresentante per il commercio degli Stati Uniti d’America, United States Trade Representative (Ustr). Si apre così la strada per una nuova guerra commerciale tra Italia, Unione europea e Stati Uniti. Il pomo della discordia è l’imposta italiana del 3% sul fatturato delle società di internet che vantano 750 milioni di ricavi a livello globale e incassi in Italia di almeno 5,5 milioni di euro. Gettito complessivo stimato in 700 milioni di euro.
Lo Ustr (U.S. Trade Representative) ha redatto un report dopo un’indagine sulla web tax cominciata nel giugno del 2020, in cui contesta il provvedimento che prende di mira i ricavi delle società che forniscono servizi digitali nella Penisola tra cui, soprattutto, quelle americane: “43 aziende o gruppi potrebbero essere colpite, di questi 27 sono statunitensi, 3 italiani e gli altri 13 provenienti da altri paesi”, scrivono gli autori del documento. E chiariscono: in altre parole, il 62 per cento delle società a cui è indirizzata questa tassa sono americane, quelle italiane rappresentano solo una quota del 6,9 per cento.
Secondo l’ente statunitense l’impatto sulle imprese Usa. «Sia le soglie di fatturato della web tax che la selezione dei servizi coperti discriminano le aziende statunitensi interessate», si legge nel report di Washington. A causa delle soglie di fatturato, «oltre il 62% delle aziende probabilmente interessate dalla Dst italiana sono statunitensi, mentre meno del 7% delle aziende interessate sono italiane». Inoltre, la definizione ristretta dei servizi coperti dalla web tax italiana riguarda i servizi «per i quali le aziende statunitensi sono leader di mercato».
Per questo, il rappresentante del commercio lancia un avvertimento, facendo largo all’ipotesi in futuro di misure tariffarie ritorsive: per ora non risponderà con provvedimenti punitivi, ma si lascia la porta aperta per potenziali contromisure, come prevede la Section 301 del Trade Act del 1974, una legge che consente agli Stati Uniti di rispondere con adeguate azioni, tariffarie e non, alle politiche o pratiche di un paese straniero considerate discriminatorie, ingiustificate o che limitano le attività commerciali americane.
Nel frattempo, l’amministrazione Trump ha deciso di sospendere l’applicazione di dazi aggiuntivi su alcuni prodotti francesi, come lo champagne, che dovevano entrare in vigore il 6 gennaio in ritorsione alla webtax in vigore in Francia.
L’Ufficio del Rappresentante commerciale Usa (Ustr) ha spiegato in un comunicato di voler aspettare il risultato delle indagini che riguardano le tasse sul digitale adottate o allo studio in altri Paesi. L’Ustr precisa che la sospensione favorira’ ‘una risposta coordinata’.
Cosa succederà a questo punto? Difficile dirlo. La strada maestra è rappresentata sempre da una soluzione in sede OCSE che però tarda ad arrivare. La Francia, dietro minaccia, ha sostanzialmente assecondato le richieste americane. E l’Italia saprà impuntarsi?