di Fabrizio Vedana
Cipro, Irlanda e Malta sono i soli tre Stati membri dell’Unione Europea[1]ad aver disciplinato i trust nei rispettivi ordinamenti giuridici; a questi si aggiungono Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi che pur non avendo una specifica legge, hanno riconosciuto i trust nel loro territorio in base alle disposizioni della convenzione dell’Aja dell’1 luglio 1985 relativa alla legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento.
Sono i sorprendenti risultati che vengono riportati nella relazione che la Commissione Europea ha presentato al Parlamento e al Consiglio europeo il 16 settembre scorso.
Ben sedici[2] risultano, invece, gli Stati membri che dichiarano che il rispettivo diritto non disciplina alcun trust o istituto giuridico affine.
Otto[3] sono, infine, gli Stati membri che hanno dichiarato di avere istituti giuridici affini al trust, in alcuni casi disciplinati dal loro diritto nazionale, in altri basati sul principio generale dell’autonomia delle parti contraenti e delimitati dalla giurisprudenza e dalla dottrina.
Sono i risultati della mappatura fatta dalla Commissione Europea ai sensi e per gli effetti dell’articolo 31 della direttiva UE 2015/849 (antiriciclaggio) che impone ai trustee o alle persone che ricoprono una posizione equivalente in un istituto giuridico affine di:
- ottenere e mantenere informazioni adeguate, accurate e attuali sulla titolarità effettiva dell’istituto;
- rendere noto il proprio stato e fornire prontamente ai soggetti obbligati (i.e. banche, intermediaria, professionisti, ecc.) le informazioni relative alla titolarità effettiva dell’istituto;
- inviare informazioni sulla titolarità effettiva dell’istituto al registro centrale dei titolari effettivi istituito nel paese in cui è stabilito o risiede il trustee, oppure nel paese in cui l’istituto avvia rapporti d’affari o acquisisce proprietà immobiliari laddove il trustee sia stabilito o risieda al di fuori dell’UE;
- fornire una prova della registrazione nel registro centrale dei titolari effettivi o un estratto della stessa laddove intenda avviare rapporti d’affari in un altro Stato membro.
Alla luce della varietà di trust e istituti giuridici utilizzati nell’UE, l’articolo 31, paragrafo 10, stabilisce che gli Stati membri devono individuare gli istituti giuridici che hanno un assetto o funzioni affini a quelli dei trust e notificare alla Commissione le categorie, le caratteristiche, i nomi e, se del caso, la base giuridica di tali istituti. L’articolo 31 prevede inoltre che la Commissione valuti se gli Stati membri hanno debitamente notificato e assoggettato agli obblighi previsti dalla direttiva i trust e gli istituti giuridici affini disciplinati dal loro diritto. La relazione presentata al Parlamento e al Consiglio Europeo il 16 settembre scorso adempie proprio tale obbligo.
Ne esce una fotografia che vede, accanto al trust e alla fiducie (categoria alla quale viene appartiene, secondo la Commissione Europea, il mandato fiduciario italiano), altri istituti come le fondazioni di diritto privato, il fideicomiso, laTreuhand e lo Sverenskyfond.
La Commissione Europea inizia il suo esame proprio dai trust ricordando che sono istituti giuridici sviluppati in giurisdizioni di common law in cui un costituente trasferisce alcuni beni ad un trustee che ne esercita il controllo nell’interesse di uno o più beneficiari. I beni detenuti nel trust costituiscono un patrimonio distinto da quello del trustee, mentre altre parti, come il costituente e il guardiano, possono anch’esse esercitare un certo livello di controllo o di influenza su di esso. Dalle analisi dei casi di riciclaggio, precisa la Commissione UE, emerge che il rischio di uso improprio dei trust aumenta quando diversi partecipanti al trust coincidono con la stessa persona fisica o giuridica, o quando i trust sono costituiti in giurisdizioni straniere.
Come già detto i soli Paesi ad avere dichiarato di regolare il trust nel proprio ordinamento giuridico sono Cipro, Malta e Lussemburgo (oltre al Regno Unito): trattasi peraltro di trust che sono stati sviluppati volontariamente dalle parti ovvero la cui istituzione non ho imposta per legge.
A questi Stati si aggiungono poi Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi che hanno riconosciuto i trust nel loro ordinamento giuridico sulla base delle disposizioni della Convenzione dell’Aja del 1985.
Sebbene non abbiano dichiarato di avere una legislazione sui trust o una norma che ne riconosce l’utilizzabilità, anche Lituania e Belgio, a giudizio della Commissione, hanno in qualche modo dato cittadinanza al trust. La Lituania prevedendo nel proprio codice civile, in particolare nell’articolo 4106 che il trustee abbia ampi diritti sui beni sostanzialmente pari ai diritti del titolare; il Belgio ha integrato il concetto di trust nel suo codice civile di diritto internazionale privato (capo XII): in applicazione di tali disposizioni non è possibile costituire un trust ai sensi del diritto belga ma ne è possibile il riconoscimento di quelli costituiti legalmente ai sensi di un diritto straniero.
La Commissione UE dedica ampio spazio poi alla Fiducie, categoria nella quale vengono fatti rientrare gli istituti giuridici specificamente identificati dal GAFI e dalla direttiva antiriciclaggio quali affini ai trust. Tali istituti si basano generalmente su un regime che coinvolge tre parti in cui uno o più conferenti trasferiscono beni verso un fiduciario, a vantaggio di uno o più beneficiari individuati. Tale regime comporta la separazione dei beni da quelli personali del conferente. In base a tale istituto, il fiduciario ha l’obbligo di gestire i beni secondo i termini dell’accordo fatto con il conferente. Tre Stati membri hanno notificato istituti di questo tipo: è il caso delle fiducies francesi (articolo 2013 del codice civile francese), dei contractsfiduciaries del Lussemburgo (legge 27 luglio 2003) e della fiducia della Romania (articoli 773-791 del codice civile).
In Italia abbiamo il mandato fiduciario che, pur trovando nella legge 1966/39 una importante fonte normativa soprattutto in ordine ai requisiti che deve possedere la società fiduciaria che normalmente assume il ruolo del mandatario fiduciario, si basa sul principio generale dell’autonomia delle parti ed è delimitato dalle sentenze e dalla dottrina. Considerazioni analoghe possono essere fatte anche per la fiducia spagnola che si basa sull’autonomia delle parti contraenti di cui all’articolo 1255 del codice civile spagnolo.
Altro esempio di istituto considerato affine al trust e come tale notificato alla Commissione Europea è invece il bizalmivagyonkezelo regolato dal codice civile ungherese.
La Treuhand, precisa la Commissione UE, è uno degli istituti giuridici esplicitamente considerati affini ai trust sia nelle norme del GAFI sia nella direttiva antiriciclaggio; trattasi di un istituto giuridico privo di personalità giuridica risultante dal principio dell’autonomia delle parti contraenti, tipico degli ordinamenti giuridici tedesco ed austriaco. Secondo tale regime una persona (Treugeber) trasferisce taluni beni o diritti di titolarità ad un’altra persona (Treuhander), che è autorizzata a gestire tali beni conformemente al contratto stipulato tra le parti.Nonostante queste caratteristiche e pur essendo considerato dall’OCSE un istituto soggetto a obbligo di trasparenza per quanto riguarda la titolarità effettiva, nessuno Stato membro (dice la Commissione) ha (ndr stranamente) notificato la Treuhand come istituto affine al trust.
Il fideicomisopur essendo incluso tra gli istituti giuridici considerati affini ai trust dalle norme del GAFI, non viene considerato tale dalla Commissione UE:le caratteristiche edil funzionamento di tale istituto, infatti, non replica né l’assetto né la funzione del trust di separare il diritto di proprietà o la gestione di taluni beni dalla loro titolarità effettiva.
Discorso diverso va invece fatto perun istituto giuridico regolato dalla legislazione ceca: loSverenskyfond. Ed in effetti lo Stato ceco lo ha notificato alla Commissione Europa come affine al trust. Nell’ambito di tale istituto giuridico né il costituente né il trustee detiene un diritto di proprietà sui beni. Tali beni diventano beni senza un proprietario e devono essere gestiti dal trustee a vantaggio dei beneficiari. Nonostante le sue specificità, ad avviso della Commissione tale istituto svolge la stessa funzione del trust di common law che separa la titolarità giuridica da quella effettiva.
Quanto alle fondazioni, considerate nella civillawcome l’equivalente di un trust di common law, pur potendo in effetti essere utilizzate per scopi analoghi a quelli per i quai viene usato il trust avendo una loro personalità giuridica non possono rientrare, a giudizio della Commissione UE, nella categoria degli istituti giuridici affini ai trust.
Pur non avendo un valore vincolante e definitivo, la relazione della Commissione Europea costituisce però un primo importante tentativo a livello europeo di individuazione degli istituti giuridici che potrebbero essere considerati affini al trust di common law nell’ambito del diritto e delle consuetudini degli Stati membri.
L’esame rivela che un’ampia gamma di istituti giuridici presenta delle affinità con il trust di common law, in linea con le condizioni di cui all’articolo 31 della direttiva antiriciclaggio. Istituti giuridici come la Treuhand o la fiducie, da un lato possono essere considerati affini ai trust in virtù della loro funzione, mentre altri istituti, quali la tutela, la curatela, l’amministrazione delle successioni possono essere considerati affini in virtù del loro assetto.
L’assenza di un comune approccio all’individuazione di istituti affini ai trust non garantisce ad oggi la certezza del diritto e la parità di condizioni e potrebbe quindi lasciare aperte scappatoie che consentono di utilizzare istituti poco noti per finalità di riciclaggio. Pertanto, la Commissione sta prendendo in considerazione la possibilità di creare un gruppo di lavoro informale al fine di individuare criteri comuni e coerenti per l’individuazione dei pertinenti istituti giuridici disciplinati dal rispettivo diritto.
[1] Il Regno Unito ha una sua legge ma non viene più considerato membro dell’UE per effetto della Brexit.
[2] Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Spagna, Slovacchia, Slovenia e Svezia
[3] Cechia, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Romania e Ungheria