Nel corso degli ultimi mesi, abbiamo spesso parlato della crescita economica delle imprese tecnologiche internazionali. Finora, però, ci mancava l’esatta dimensione del loro potere. Le 5 big tech USA: Apple, Amazon, Facebook, Alphabet, Netflix producono un valore superiore al pil di Italia e Francia, ma anche della Germania, e rappresentano il 20% del listino S&P 500 di Wall Strett che raccoglie le 500 più importanti imprese, per un totale di 5 mila miliardi di dollari. Numeri impressionanti che testimoniano più di qualsiasi altra valutazione la crescita (partita per la verità da ottimi presupposti) di queste imprese, giunte ormai ad una dimensione economica e, soprattutto, politica che non può più essere ignorata dai paesi di tutto il mondo.
La crescita di queste imprese, tuttavia, ha attirato gli interessi di vari governi, in particolare di quelli europei, che stanno cercando in ogni modo di tassarne i proventi. In assenza di una strategia condivisa, tali progetti, hanno maturato al momento solo l’effetto di stimolare la guerra dei dazi e le minacce da parte del governo americano.
Tornando alla crescita delle big tech, secondo gli esperti, il loro sviluppo, sembrerebbe essere ben più strutturale e solido rispetto a quello che portò allo scoppio della bolla delle dot-com. Il settore tech è stato quello che ha spiccato il balzo più considerevole sul mercato azionario rispetto ai minimi segnati a causa del coronavirus, ma a giudicare dal contributo di queste società alla crescita economica e dal loro peso relativo sul mercato gli investitori non devono temere lo scoppio di un’altra bolla. L’ipotesi più accreditata è quindi quella che le big tech continueranno, in virtù anche dei loro asset più stabili e ramificati, a crescere e a consolidarsi nell’economia internazionale. Certo, il tutto senza tenere pienamente conto delle questioni relative all’antitrust e al costante pericolo che nei loro confronti venga attuata una politica di frammentazione in stile Standard Oil.