di Pierfrancesco Malu
Il Consiglio europeo più lungo, e probabilmente anche il più importante della storia, si è concluso con una fumata bianca, quasi come un conclave che alla fine è riuscito ad eleggere il Papa tra mille dissidi, dissensi e un fuoco incrociato di veti e sospetti reciproci. L’Europa non si è spaccata. Questa è la prima notizia. Anche nei momenti più critici di questi quattro giorni di trattative serrate, tutti i contendenti hanno mantenuto chiara la necessità di dover giungere ad un accordo il più possibile soddisfacente.
Parallelamente a questo aspetto, ve ne è un altro che contribuisce a sua volta a rinsaldare il processo di integrazione europea che da tempo avevamo non solo trascurato ma anche messo in dubbio. Con questo vertice, nonostante le opposizioni di quelli che sono stati definiti “Paesi frugali”, l’Unione europea raggiunge una sua specifica personalità finanziaria, essendo stata autorizzata a indebitarsi sul mercato e a distribuire euro in forma di sussidi (grant) e di prestiti (loan). Un aspetto non da poco che potrebbe avere nel medio periodo una rilevanza ancora più ampia di quella che può apparire in questo momento.
Il coronavirus ha stroncato famiglie ed economie ma, a questo punto, potrebbe essere anche il motore di una nuova solidarietà paneuropea capace di realizzare, sotto la pressione dell’esigenza comune, quella vera unione che da anni ci sfugge tra le dita per invidie e risentimenti comuni.
Certo, 209 miliardi, 82 di sussidi e 127 di prestiti (per l’Italia) sono una bella boccata d’ossigeno per le nostre casse (ancorché inferiore a quanto inizialmente richiesto) ma impongono un serio momento di riflessione che deve necessariamente portare ad altrettanto serie ed articolate riforme.
Quella che, infatti, appare come una vittoria per la delegazione italiana guidata dal Presidente del Consiglio Conte, è anche un’ultima iniezione di fiducia nei confronti del nostro Paese. Se stavolta falliremo la stagione delle riforme, che devono essere tante ma ben orchestrate e coordinate tra loro, perderemo buona parte della nostra credibilità europea dando ragione proprio a quei paesi che non avrebbero voluto darci la minima fiducia.
A questo punto, il nostro Governo dovrà presentare alle Istituzioni europee un piano dettagliato su come verranno utilizzate queste risorse e di riforme per rimettere in moto l’economia. Dal canto suo, la Commissione UE avrà due mesi di tempo per valutarlo in base al tasso di rispetto di politiche verdi, digitali e delle raccomandazioni Ue 2019-2020 che dovranno riguardare, in particolare, pensioni, lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, istruzione e sanità.
Se i quattro giorni di trattative sono sembrati estenuanti il compito che spetta adesso al Governo è ancora più probante. Trasformare trattative e buoni propositi in azioni concrete ed efficaci, cercando di mantenere la quadra nell’esecutivo ed includere per quanto possibile le opposizioni, sarà la vera sfida delle prossime settimane ma è anche l’unica strada percorribile per un Paese che ha estrema necessità di innovazione così come la volontà di tornare ad essere protagonista della scena politica ed economica internazionale.