La pandemia che stiamo affrontando da oltre due mesi si sta rivelando, nostro malgrado, sia una scuola sia un banco di prova che ha fatto emergere tutti i limiti ma anche le potenzialità dei nostri sistemi produttivi, sociali ed educativi.
La sensazione è che ci troviamo sull’orlo di uno di quei momenti di cesura sociale ed economica che cambiano radicalmente le prospettive di un’intera civiltà. In queste settimane, stiamo testando noi stessi e le nostre competenze affacciandoci ad un mondo più smart, flessibile e dinamico che già oggi contribuisce a cambiare profondamente le nostre abitudini accelerando alcuni di quei processi di trasformazione che sono stati avviati da tempo ma che, troppo, spesso ristagnano senza reali balzi innovativi.
In particolare, il lavoro smart è uno degli elementi più evidenti che giocoforza stanno emergendo dalla pandemia. Pur con tanti distinguo, infatti, anche l’Italia sta cercando di adeguarsi ad un modello che non gli è mai stato troppo familiare.
Questi sono stati i temi centrali del webinar “Smart working – use case post covid19” organizzato dall’A.P.S.P. il 12 giugno 2020.
L’incontro è stato introdotto dal Presidente dell’Associazione, Maurizio Pimpinella, il quale ha chiarito fin da subito il ritardo col quale la novità del lavoro agile è stata accolta inizialmente nel sistema produttivo italiano: “Siamo abituati a considerare lo smart working come un’opzione di lavoro in condizioni di emergenza, che merita poca considerazione, verso la quale abbiamo mostrato da sempre ben poca attenzione e ancor meno investimenti e che, in effetti, non equivale a svolgere davvero il proprio lavoro. Nulla di più sbagliato. La pandemia, probabilmente, sta aiutando ad aprirci gli occhi ma dobbiamo imparare a considerare lo smart working come un vero e proprio modo alternativo di concepire il lavoro: più flessibile e dinamico che diventerà sempre più normale per tutti”. E prosegue: “la pandemia è stata come una frustata che ha costretto le aziende ad adottare nuove forme di lavoro che prima non erano neanche prese in considerazione. Ora bisogna non sprecare questa occasione e fare in modo che ciò che l’emergenza ha in molti casi trasformato in semplice “telelavoro” diventi l’avvio di un processo di ristrutturazione dei processi produttivi e dell’organizzazione del lavoro”.
In conclusione, dichiara il Presidente Pimpinella “Freno culturale e limitate competenze sono un freno per la piena adozione dello smart working. In un passato non troppo remoto era quasi impensabile sostituire del tutto le lettere cartacee con le email, o gli archivi fisici con le cartelle digitali. Oggi, invece, dobbiamo imparare, in tempi brevi, a fare un ulteriore salto evolutivo imparando a padroneggiare strumenti come, ad esempio, la blockchain”.
Tra i relatori, hanno partecipato due ospiti autorevoli e di prestigio.
Il primo a prendere la parola è stato prof. Antonello Garzoni – Preside Facoltà Economia LUM il quale ha sottolineato il fattore culturale che frena l’introduzione dello smart working in Italia. Il professore ha esordito subito dicendo “Lo smart working è un motivo di cultura” evidenziando poi come l’esperienza del covid19 potrebbe contribuire a superare la “cultura del cartellino” che è così tanto presente nelle abitudini degli italiani. Nonostante la crisi sanitaria e quella economica, il prof. Garzoni ha voluto anche sottolineare alcuni “aspetti positivi” della pandemia: “come in tutte le crisi, le decisioni che abbiamo dovuto prendere nel periodo di lockdown sono state veloci, aiutando molti a superare l’impatto della “digitalità”. “La produttività nasce anche dalle risposte rapide agli eventi. L’esperienza appresa in questo periodo la porteremo con noi anche in futuro”.
Il secondo, è stato Paolo Vannuzzi AD di Noovle, impresa recentemente acquisita al 100% da Tim, il quale ha fornito un efficace spaccato, arricchito da numerosi casi pratici, sulla nuova prospettiva del lavoro post covid19. Secondo Vannuzzi “La vera frontiera dello Smart Working consisterà nel superare definitivamente le barriere culturali che fino ad oggi ne hanno impedito la piena attuazione. L’esperienza indotta dalla crisi ha sicuramente contribuito a mitigare lo scetticismo rispetto a questa modalità lavorativa e a comprenderne meglio e più in profondità i vantaggi: da un maggiore livello di collaborazione delle persone ad una migliore conciliazione della vita privata con quella lavorativa, dall’impatto sui costi aziendali ad un aumento della produttività fino alle ricadute ambientali”.
Lo smart working rientra appieno nel processo di trasformazione digitale che l’Italia ha intrapreso da tempo, e dal quale dipende la nostra crescita economica ma anche culturale e sociale. Aggiornare anche dal punto di vista delle forme di lavoro l’Italia – rileva infine il Presidente Pimpinella – significa contribuire a rendere il Paese più moderno e in grado di competere realmente con le altre realtà internazionali.