di Umberto Piattelli
Da qualche mese, purtroppo, abbiamo assistito a rilevanti cambiamenti nelle nostre abitudini e nel nostro modo di vivere, a causa della diffusione del Covid 19; questi cambiamenti hanno avuto ad oggetto anche alcuni dei nostri diritti fondamentali, o più precisamente costituzionali, come il diritto a circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, alla libertà di promuovere l’iniziativa economica ed in alcuni casi, addirittura alla libertà personale.
Di seguito si troverà quindi una breve analisi sulle interazioni tra i provvedimenti denominati DPCM e i diritti di rango costituzionale, di natura meramente giuridica e scevra da ogni giudizio di merito o politico sul contenuto delle disposizioni che saranno di seguito citate e che sono state adottate in un contesto assolutamente nuovo ed il cui rapido sviluppo, molto probabilmente, ha reso molto più difficile l’operato degli organi deputati a livello nazionale, regionale e comunale, a gestire l’emergenza.
PREMESSA
Il Decreto Legge 19/2020 sostituisce, abrogandola, la disciplina di carattere ordinamentale dettata dal D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020 (convertito poi nella legge n. 13/2020), il quale ha rappresentato la prima cornice giuridica per l’adozione delle misure di contrasto all’epidemia.
In particolare il D.L. 6/2020 prevedeva la possibilità di adottare una serie di misure di contenimento nei territori nei quali si fossero manifestati casi di contagio (articolo 1), nonché ulteriori misure di contenimento in casi non riconducibili a quelli dell’articolo 1 (articolo 2).
Il decreto prevedeva inoltre che le misure di contenimento venissero adottate con DPCM, potendosi procedere, nelle more dell’adozione, anche con ordinanze del Ministero della salute (ai sensi dell’articolo 32 della legge n. 833 del 1978) e del sindaco (ai sensi dell’articolo 50 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000).
Infine tramite il D.L. 19 sono stati definiti i rapporti tra le ordinanze regionali e i DPCM ovvero tra le ordinanze comunali e gli atti amministrativi del governo, al fine di delimitare i poteri di regioni e comuni rispetto alle competenze assunte o comunque detenute dal governo.
DPCM E DECRETI LEGGE
Ma che tipo di provvedimento è un DPCM, all’interno della gerarchia delle fonti? Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) è un atto amministrativo che non ha forza di legge e che, come i decreti ministeriali, ha il carattere di fonte normativa secondaria e serve per date attuazione a norme o varare regolamenti.
Il D.L. n. 6/2020 convertito in legge 13/2020, ha demandato ai DPCM l’adozione dei provvedimenti per contrastare la pandemia collegata alla diffusione del Covid-19, cioè ad atti amministrativi che non hanno rango di legge; questo poiché il potere regolamentare attribuito al Governo, in quanto organo collegiale, e ai singoli Ministri, è disciplinato in via generale dall’art. 17 della Legge 23 agosto 1988, n. 400 ed essendo espressione di una fonte secondaria dell’ordinamento giuridico, in base al sistema delle fonti del diritto disciplinato dalla Costituzione, non può però essere esercitato in concreto senza una norma di legge ordinaria che lo autorizzi.
L’ articolo 1, comma 1, del D.L. 6/2020 ha stabilito che, allo scopo di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale, ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, potessero essere adottate una o più misure tra quelle elencate al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a 30 giorni, reiterabili e modificabili anche più volte, fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza dichiarato con Delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, e con possibilità di modularne l’applicazione, in aumento o in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus.
Per completezza, il decreto legge è un provvedimento con valore di legge adottato dal Governo nei casi straordinari di necessità e urgenza, che viene emanato dal Presidente della Repubblica, entra in vigore il giorno stesso o il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e che deve essere convertito in legge, dal Parlamento, entro 60 giorni, altrimenti perde efficacia sin dall’inizio.
LO STATO DI EMERGENZA
La Delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020 ha dichiarato lo stato di emergenza, per la durata di sei mesi, in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, disponendo che si provveda con ordinanze, emanate dal Capo del Dipartimento della protezione civile, acquisita l’intesa della Regione interessata e in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico.
Il D.L. 19 contiene disposizioni, di tipo ordinamentale, per far fronte all’eccezionale emergenza derivante dall’epidemia in corso, come sopra richiamata.
La Costituzione italiana, a parte il caso di guerra, in merito al quale prescrive (art. 78) che siano le Camere (non già il capo del potere esecutivo, com’era nell’articolo 5 dello Statuto) a darne la deliberazione, conferisce al Governo i poteri necessari circa “casi straordinari di necessità e urgenza“, innanzi ai quali il Governo può adottare provvedimenti provvisori con forza di legge, da sottoporre all’approvazione del Parlamento onde ne siano stabilizzati gli effetti giuridici (art. 77).
La Costituzione prevede inoltre un potere del Governo di intervento sostitutivo rispetto agli enti territoriali (pur nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione) per il caso, tra gli altri, di pericolo per l’incolumità pubblica (art. 120).
La legislazione ordinaria, tramite la legge sulla protezione civile (legge n. 225 del 1992, poi confluita nel decreto legislativo n. 1 del 2018, recante il Codice della protezione civile) definisce una concatenazione di atti giuridici – deliberazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri, per un lasso temporale determinato (fino a sei mesi) e prevede l’adozione di ordinanze del Presidente del Consiglio, del Capo del Dipartimento della protezione civile, calibrata su fenomeni come terremoti e disastri naturali, tali da poter sì recare limitazioni di diritti individuali (come il divieto di ingresso e dimora in zone o edifici pericolanti), ma non così pervasive ed estese su tutto il territorio nazionale, quali le restrizioni imposte dall’emergenza da Covid-19.
La Costituzione italiana non reca specifiche disposizioni di carattere generale circa il “governo dell’emergenza” dalle quali far discendere limitazioni o restrizioni specifiche dei diritti costituzionalmente garantiti.
L’EFFICACIA DEL DPCM
Abbiamo quindi ricostruito il fondamento giuridico dei DPCM: esiste un decreto legge (D.L. 6/2020) adottato dal governo ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione, in forza del quale si demanda al Presidente del Consiglio dei Ministri di adottare, appunto mediante DPCM, apposite misure idonee a contrastare gli eventi che determinano lo stato di emergenza.
Il D.L. 6 prima e il D.L. 19 poi, pertanto, in conformità alla riserva di legge prevista dalle norme costituzionali per le limitazioni ad alcuni diritti di libertà (si vedano tra gli altri gli articoli, 13, 14, 16, 17 e 41 Cost.), giustificate da altri interessi costituzionali (quale nel caso di specie la tutela della salute pubblica, art. 32 Cost.), hanno stabilito una definizione dettagliata delle misure potenzialmente applicabili per contrastare l’emergenza legata al Covid-19, e nel cui ambito, i singoli provvedimenti attuativi (adottati, ai sensi dell’articolo 2, in forma di DPCM), possono determinare, a seconda del luogo e del momento di applicazione, le misure più opportune ed efficaci.
In merito, corre subito l’obbligo di notare come, in sede di conversione del D.L. 6/2020 non ne sia stato sostanzialmente modificato il testo, mentre con il nuovo D.L. n. 19 viene immediatamente escluso che la violazione delle misure di contenimento, possa comportare l’applicazione della pena prevista dall’art. 650 del codice penale e fa venire dunque meno la contravvenzione per l’inosservanza degli ordini dell’autorità (punita con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro), prevista dall’art. 4 del D.L. 6/2020, che viene abrogato, con la conseguenza che chiunque violi le misure di contenimento previste da DPCM (ai sensi dell’art. 2, comma 1), ovvero da provvedimenti delle regioni o da ordinanze del sindaco (ai sensi dell’art. 3), sia soggetto esclusivamente alla sanzione amministrava pecuniaria del pagamento di una somma da 400 a 3.000
Il D.L. 19, abrogando le previsioni di cui al D.L. 6 e sostituendo le sanzioni penali con nuove sanzioni amministrative, stabilisce altresì, al comma 8, che queste ultime si applichino anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legge stesso al fine di procedere a una depenalizzazione con riguardo ai fatti riconducibili al nuovo illecito amministrativo e questo significa, quanto ai fatti pregressi, che nessuno potrà essere chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020 e che i procedimenti incardinati presso le procure dovranno essere archiviati.
LE RISERVE DI LEGGE STABILITE DALLA COSTITUZIONE
Nel prosieguo analizzeremo alcune delle riserve di legge previste dalla Costituzione italiana, per comprendere meglio cosa significhi un diritto costituzionalmente garantito.
ARTICOLO 25 COSTITUZIONE
Perché il D.L. 9/2020 ha apportato tale modifica (depenalizzazione) a quanto disposto dal D.L. 6/2020 e dalla legge di conversione? Perché esiste l’articolo 25 della Costituzione, comma 2, che stabilisce il principio della riserva di legge, ai sensi del quale nessuno può essere sottoposto a una misura di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. L’articolo 199 del codice penale, precisa inoltre che: “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti”.
La riserva di legge è imposta da esigenze di garanzia formali e sostanziali per i cittadini. In primo luogo il principio di legalità garantisce i cittadini dall’uso della forza da parte dello Stato, considerando che il diritto penale è un diritto fondamentalmente “violento e repressivo” e mira ad evitare gli abusi da parte del potere esecutivo.
Inoltre solo la legge, essendo emanata per mezzo di un apposito procedimento, assicura adeguate garanzie ai cittadini e, più in particolare, assicura che le minoranze parlamentari esercitino un certo controllo sull’indirizzo della politica criminale, che è pericoloso lasciare al mero arbitrio di una maggioranza e/o dell’esecutivo. La stessa garanzia, invece, non potrebbe essere assicurata per mezzo di altri strumenti, quali i regolamenti, che esporrebbero i cittadini all’arbitrio del potere esecutivo o del potere giudiziario.
Una norma come il D.L. 6/2020 che stabiliva che la violazione di quanto disposto da un DPCM (atto di natura regolamentare) costituisse la fattispecie di reato, evidentemente è stata ritenuta dal potere esecutivo (senza neanche bisogno di interpellare la Suprema Corte), incostituzionale. Quindi possiamo desumere che il diritto di cui all’articolo 25, comma 2, della Costituzione, abbia ampia prevalenza sulla tutela costituzionale del diritto alla salute, di cui all’articolo 32 della Costituzione.
ARTICOLO 13 COSTITUZIONE
Pur tuttavia lo stesso ragionamento non è stato seguito in riferimento a quanto sancito dall’articolo 13 della Costituzione: “Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge“; in merito a tale diritto va detto che la Suprema Corte ha sottolineato come il nucleo irriducibile di tale diritto implichi che le eventuali restrizioni, che la stessa Costituzione ammette, potranno intervenire solo laddove giustificate dalla necessità di tutelare diritti di pari rango e nel rispetto di determinate regole procedurali.
Per alcuni, la libertà personale rappresenta il diritto fondamentale più importante, e consiste essenzialmente nel diritto della persona a non subire coercizioni, restrizioni fisiche ed arresti; si traduce dunque in primis in una tutela avverso gli abusi dell’Autorità e, specularmente, costituisce l’indispensabile condizione per poter godere dell’autonomia ed indipendenza necessarie per esercitare gli altri diritti fondamentali[1].
L’articolo della Costituzione in commento individua quindi tre diverse garanzie: (i) la riserva di legge assoluta, ovvero la competenza esclusiva della legislazione ordinaria a disciplinare l’inviolabilità della libertà personale; (ii) la riserva di giurisdizione, dato che solo l’autorità giudiziaria può emanare provvedimenti restrittivi; (iii) l’obbligo di motivazione, il quale deve necessariamente accompagnare ogni provvedimento restrittivo della libertà personale.
ARTICOLO 16 COSTITUZIONE
Neppure in merito all’articolo 16 della Costituzione si è ritenuto censurare l’impianto creato attraverso i D.L. e i DPCM. Tale articolo stabilisce che: “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza“.
In quest’ultimo caso la Suprema Corte[2] stabilisce, rispetto all’art. 13 prima esaminato, una diversa sfera di operatività e quindi la possibilità di limitazioni, ponendo però quale condizione di legittimità che siano previsti dalla legge in via generale i motivi di sanità o sicurezza pubblica; tali motivi possono nascere sia da situazioni generali sia da casi particolari, e vi sarebbe inclusa la necessità di isolare individui affetti da malattie contagiose o di prevenire i pericoli che singoli individui possono produrre rispetto alla sicurezza pubblica[3].
CONCLUSIONI
Quindi tre riserve di legge, ma tre diverse conclusioni: (i) in un caso (art. 25) la riserva di legge impedisce, pacificamente, ai DPCM di avere l’effetto di limitare un diritto costituzionalmente garantito, (ii) in un altro caso (art. 13) l’interpretazione della relativa riserva di legge non pone neppure in dubbio che un altro diritto costituzionale (quello alla salute) possa mettere in discussione il diritto alla libertà personale, senza il rispetto delle procedure previste dalla Costituzione stessa e (iii) nell’ultima ipotesi (art. 16) sembra invece che il diritto alla libertà di circolazione possa essere limitato, di fronte al diritto alla salute, anch’esso costituzionalmente garantito.
In particolare la tutela del diritto alla salute, secondo la Suprema Corte, implica e comprende, misure di prevenzione e il dovere di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui; pertanto, ove si profili una incompatibilità tra il diritto alla tutela della salute, costituzionalmente protetto, ed i liberi comportamenti che non hanno una diretta copertura costituzionale la Corte ha evidenziato come “deve ovviamente darsi prevalenza al primo“[4].
Vi è comunque chi ritiene che l’art 32. della Costituzione sancisca come la tutela della salute sia un diritto fondamentale dell’individuo e della collettività e come, tale diritto, letto in combinato disposto con l’art. 2 è da intendersi, nella gerarchia dei diritti, sovraordinato a tutti i principi, consistendo in un valore supremo e, per tale ragione, irrinunciabile.
Pur tuttavia, ed anche tenendo conto della richiamata decisione della Suprema Corte, sembra che rimanga irrisolto il problema del caso di specie, visto che tutti i diritti in conflitto tra di loro sono costituzionalmente garantiti e che sostenere, tout court, che il diritto circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, determini per ciò l’adozione di comportamenti che mettono a rischio la salute altrui, appare evidentemente (almeno da un punto di vista giuridico) molto difficile da sostenere, salvo arrivare a pericolosissime interpretazioni assolutistiche che potrebbero giustificare qualunque limitazione.
Va detto che per operare delle limitazioni tra principi costituzionali di pari rango, come quelli in discussione, si dovrebbero applicare al fine di determinare un corretto bilanciamento, i principi di prevenzione (intervenire prima che un danno si verifichi), precauzione (prevenire anche nell’incertezza che il danno si verifichi), proporzionalità e adeguatezza, così da evitare che siano adottate misure di protezione eccessivamente e ingiustificatamente invasive e restrittive delle libertà̀ dei singoli o delle libertà economiche e che l’applicazione del principio di precauzione possa risolversi nell’adozione di blocchi generalizzati di attività̀ di ogni tipo, non fondati su adeguati riscontri scientifici, poiché tale situazione sarebbe, invero, posta in violazione del medesimo principi.
Se quanto precede è corretto, appare molto difficile pensare che un DPCM possa, nel quadro giuridico appena delineato, introdurre qualsivoglia limitazione di un diritto costituzionalmente garantito, sia per effetto della riserva di legge sia per la natura meramente amministrativa di tale strumento.
Vale la pena di ricordare che l’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 disciplina i regolamenti governativi adottati nella forma di decreti del Presidente della Repubblica ed i regolamenti ministeriali, adottati nella forma di decreti ministeriali, senza menzionare espressamente i regolamenti adottati con DPCM se non come atto con il quale è adottato il regolamento interno del Consiglio dei ministri (art. 4), sono nominati il Segretario generale e il Vicesegretario generale della Presidenza del Consiglio (art. 18) e i capi dei dipartimenti della Presidenza del Consiglio (art. 21).
Nel corso del tempo è emerso un crescente ricorso ai DPCM, che in molti casi hanno assunto anche valore regolamentare e, più in generale, normativo (se pure di rango inferiore alla legge) e solo negli ultimi due mesi ne sono stati emanati ben nove. Rispetto a questa evoluzione, anche nei pareri parlamentari espressi dalla Commissioni Affari costituzionali e dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, è stato in più occasioni posto in evidenza come il DPCM risulti allo stato, nell’ordinamento, un atto atipico e generalmente a contenuto politico[5].
In conclusione appare quindi molto complicato ammettere che nel nostro ordinamento un DPCM possa determinare delle restrizioni rispetto a diritti garantiti dalla Carta Costituzionale e per i quali risulterebbe addirittura dubbio quando una legge adottata per tutelare uno di questi diritti possa pregiudicarne un altro di pari livello e dignità.
[1] Sentenza Corte Cost. n. 1 del 1956
[2] Sentenza Corte Cost. n. 419 del 1994
[3] Sentenza Corte Cost n. 68 del 1964
[4] Sentenza Corte Cost. n. 399 del 1996 ove si rinviene il richiamo alla costante giurisprudenza della Suprema Corte la salute è un bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona ed impone piena ed esaustiva tutela, tale da operare sia in ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto privato.
[5] Cfr. Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 D.L. 19/2020 / A.C. 2447-A. Dossier n. 235/1 Camera: Progetti di legge n. 286 /1 24 aprile 2020.