Un comunicato rapido, essenziale, scarno di quel dibattito e persino di quel pathos che in queste settimane ha accompagnato buona parte delle comunicazioni del Presidente del Consiglio, quello con cui il Premier Conte ha dato ieri sera notizia del termine del tanto atteso Consiglio europeo. “E’ passato un principio importante, l’accettazione che il Recovery fund è uno strumento urgente ed è stata fondamentale la lettera mia e e di altri 8 capi di stato e di governo alla Commissione. E’ stata una tappa importante della storia europea, tutti e 27 i paesi hanno accettato di introdurre per reagire alla crisi sanitaria economica e sociale uno strumento innovativo, il recovery fund, un fondo con titoli europei. E’ passato il principio che questo strumento è urgente e necessario. L’Italia era in prima fila a chiederlo e la nostra iniziativa con la lettera di alcuni paesi è stata molto importante. Era uno strumento impensabile sino adesso e si aggiungerà a quelli già messi in campo. Renderà la risposta europea più solida coordinata ed efficace”.
Come era stato già anticipato non è stata una riunione definitiva ma ha comunque buttato le basi per la creazione di un progetto futuro. La prossima data rossa sul calendario è quella del 6 maggio, il giorno in cui la Commissione dovrà rispondere su come finanziare il Recovery Fund la cui istituzione, al momento, sembra il vero passo in avanti del gruppo capeggiato da Francia e Italia.
Niente bond, su quello che era stato il progetto iniziale del nostro esecutivo sembra essere calato il silenzio, a meno che non diventi questo l’improbabile strumento di finanziamento del fondo.
La vera notizia in tutto il marasma di commenti, comunicati social, critiche e valutazioni è che l’UE non si è spaccata, anzi. Il vertice a distanza ha mostrato che, nonostante le divisioni, si è provato a trovare un’unità d’intenti. I paesi impegnati ci sono riusciti, almeno in parte, accogliendo l’idea di creare uno strumento nuovo come appunto il fondo per la ripresa.
Non illudiamoci, però, che lo scontro sia finito così in attesa di una lineare conclusione mediata dalla Commissione. La vera battaglia sarà sul funzionamento del fondo, cioè se concederà prestiti o sovvenzioni a fondo perduto. Su questo fronte la divisione è netta.
L’Italia vuole sovvenzioni, non prestiti, e una potenza di fuoco molto più ampia.
“L’ammontare del Recovery Fund dovrebbe essere pari a 1.500 miliardi di euro e dovrebbe garantire trasferimenti a fondo perduto ai Paesi membri, essenziali per preservare i mercati nazionali, parita’ di condizioni, e per assicurare una risposta simmetrica a uno shock simmetrico”, ha detto Conte ai colleghi durante la videoconferenza.
Sulla stessa linea sono Francia, Spagna, Portogallo e Grecia. Ovviamente, di parere opposto i paesi nordici che si oppongono ad aumenti del budget comune e a forme di trasferimenti a fondo perduto. Per ora, la Germania nicchia e non si esprime apertamente lasciando, però, trasparire di non essere del tutto in accordo. Ora, come detto, la patata bollente passa alla Commissione che dovrà trovare una soluzione necessariamente di compromesso, probabilmente legando il nuovo strumento di finanziamento al prossimo bilancio comunitario, adeguatamente rimpinguato, sperando che non scontenti troppo nessuno dei contendenti.
Dal canto suo, il presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha già fatto sapere che “C’è solo uno strumento che può portare questa ripresa, ed è il budget Ue legato al Recovery fund”, gli “investimenti devono essere anticipati e deve esserci un giusto equilibrio tra sovvenzioni e prestiti”, Secondo von der Leyen il budget è adatto perché “è disegnato per la coesione, la convergenza e i programmi. E gli Stati membri hanno appoggiato questa posizione”. Von der Leyen ha aggiunto che “la soluzione ponte è stata chiesta da pochi Stati e la Commissione guarderà a questo aspetto, ci sono alcune idee che potrebbero andare bene. Per noi è importante ricordare che ad aggi, se si guarda a tutto quello che è stato mobilitato dai Paesi membri e dalle istituzioni Ue si arriva a 3.300 miliardi di euro sulle economie europee, così c’è tempo per lavorare intensamente a un nuovo bilancio Ue per finanziare i programmi di rilancio, ma ovviamente guarderemo alle soluzioni ponte”.
Detto questo, rimangono in piedi le iniezioni di liquidità già programmate dai tre pilastri di Mes, SURE e Bei. Il tanto temuto Mes, in particolare, è il più rilevante dei tre pilastri del pacchetto di interventi approvato e servirà, eventualmente, per le spese di breve periodo, i 36 miliardi di euro, se richiesti dal governo, saranno a tutti gli effetti un prestito che andrà restituito, si vedrà poi con quali tempi e con quali interessi.
A prima vista, sembrerebbe che quasi nulla è stato cambiato rispetto a quanto già stabilito qualche giorno fa. Tuttavia, se tali premesse saranno adeguatamente sviluppate nelle prossime settimane saremo in presenza di un primo significativo passo in avanti verso una nuova UE, stavolta davvero dei popoli e capace di dare le risposte necessarie al momento giusto. Certo, le istituzioni europee non sono perfette e le divisioni, anche profonde, rimangono ma da qualche parte si doveva pur cominciare per avviare un nuovo percorso di avvicinamento e integrazione tra le varie anime di quello che rimane, ancora oggi, un sogno quasi impossibile ancorché tangibile.