L’evasione fiscale è, sostanzialmente, un “reato civico”, un danno perpetrato nei confronti dell’intera comunità sulla quale vanno a pesare crescenti costi che rendono meno efficienti i servizi pubblici. L’enorme cifra del debito pubblico di oltre 2.400 miliardi di euro ci impone, inoltre, ogni anno oltre 70 miliardi di interessi: soldi che pesano sul bilancio dello Stato e che impediscono la promozione di iniziative economiche espansive. L’evasione, in particolare, arreca un doppio danno all’intera comunità ed innesca un circolo vizioso per cui chi evade continua ad usufruire di servizi che contribuisce a rendere via via sempre più inefficienti. Secondo i dati MEF, inoltre, si stima che l’economia sommersa italiana sia di oltre 100 miliardi l’anno. E’ chiaro, quindi, che se riuscissimo a rientrare di queste risorse non solo saremmo in grado di ripagare gli interessi ma anche di ripianare, progressivamente, il monte stesso del debito.
Il tema dell’evasione fiscale, in Italia, è sempre di stretta (e triste) attualità sia per l’opinione pubblica sia per l’agenda politica che ha cercato varie e talvolta fantasiose soluzioni al problema.
E se la soluzione fosse la condanna e la gogna pubblica da parte degli altri cittadini?
In almeno 26 paesi del mondo, in 16 dei 27 stati UE e in 23 stati USA, è in vigore il cosiddetto sistema del “name & shame”, che consiste sostanzialmente nel pubblicare online sui portali governativi i nomi degli evasori in modo da metterli alla berlina pubblica in funzione disincentivante. A questo proposito, il Sole 24Ore ha messo in piedi una sorta di task force di ricerca per raccogliere le specifiche normative dei paesi in cui questo sistema di deterrenza civica all’evasione è già applicato.
L’idea è piuttosto semplice: stimolare vergogna e disapprovazione civica per indurre a non trasgredire ed incentivare i comportamenti virtuosi.
Dal report del Sole 24Ore, emerge che l’Irlanda attua questo sistema già dal 1997 e non prevede alcuna soglia minima per la pubblicazione dei nomi, così come in Romania. In Estonia, Lettonia e Slovacchia la soglia varia tra i 150 euro lettoni e i 1.000 estoni. La Francia ha già approvato una legge per la pubblicazione dei nomi dei condannati per evasione fiscale. Nel Regno Unito, addirittura, oltre a nome e cognome vengono pubblicati indirizzo, professione, la cifra evasa e la sanzione ricevuta. Un modo per fare letteralmente terra bruciata attorno all’evasore smascherato.
Una delle principali differenze che comunemente accusiamo tra l’Italia (in cui anni fa, ad esempio, il reato di falso in bilancio era stato sostanzialmente depenalizzato) e gli altri paesi è la cosiddetta certezza della pena. Negli Stati Uniti, ad esempio, i reati fiscali sono estremamente stigmatizzati e già di per sé rappresentano un grave motivo di condanna sociale, tanto è vero che le sanzioni pecuniarie e carcerarie per gli evasori sono particolarmente severe e rigidamente applicate. 23 dei 50 stati USA applica il name & shame alla lettera e persino il “paradiso fiscale” del Delaware è incluso tra questi.
L’utilizzo di questo sistema di deterrenza all’evasione – per cui evidentemente vige una sorta di deroga alle norme sulla privacy (ove vigenti) – è utilizzato a livello globale anche in Cina, Pakistan e Corea del Sud, in Asia, in Australia e per quanto riguarda l’Africa in Uganda e Nigeria.
Nei paesi scandinavi, poi, è possibile consultare i redditi di amici e professionisti direttamente con un click o una telefonata. Questo non è un sistema di deterrenza all’evasione bensì di trasparenza nei confronti del prossimo. Una linea sottile che delimita il rispetto e l’invasione della privacy di ciascun cittadino ma che testimonia anche una cultura della legalità e del rispetto civico che esula dal rispetto della riservatezza.
In Italia, probabilmente non sarebbe necessario arrivare a tanto anche perché siamo spesso piuttosto gelosi della nostra intimità finanziaria anche quando non abbiamo nulla né da nascondere né di cui vergognarci, ma il sistema dello name & shame potrebbe ottenere dei risultati, purchè prima si cambi l’assunto culturale secondo cui l’evasore è un furbo che combatte il sistema e non un criminale, come sostanzialmente è.