Innovare vuol dire cambiare. E vuol dire, innanzitutto, indurre un cambiamento concreto, reale, utile e positivo, nella vita delle persone, delle imprese, della società. Non esiste l’innovazione declamata o teorica: l’innovazione esiste solo se è vissuta positivamente e concretamente da qualcuno, qualunque sia la forma secondo la quale questo elemento “positivo” si manifesta.
Nonostante, di recente, le evidenze del modello cinese ci mostrino che ci può essere innovazione e crescita economica anche in assenza di una piena libertà e di democrazia, ritengo che per vivere nel modo più totale ciò che il mondo e le più avanzate tecnologie abilitanti ci mettono a disposizione, la democrazia sia un fattore indispensabile, tutto il resto è mera illusione.
D’altra parte, la libertà (non sempre la democrazia, quanto più una sorta di sentimento para-anarchico) è alla base delle principali invenzioni che oggi ci permettono di vivere in un mondo nuovo con infinite possibilità di futuro sviluppo: internet e blockchain. Queste due tecnologie sono spesso associate tra loro non tanto per la reciproca affinità tecnologica quanto per la straordinaria portata riformista di cui sono espressione.
L’espressione “rivoluzione digitale”, poi, è ormai entrata nel gergo comune e non sorprende più di tanto sentirla. La viviamo come una non novità che ci accompagna da tempo ma di cui non ci accorgiamo il concretizzarsi nei gesti quotidiani. Eppure, il termine “rivoluzione” sta ad indicare un evento o un processo, anche traumatico, di portata tale per cui il mondo per come lo conosciamo cambia radicalmente e in maniera irreparabile. Nessuna rivoluzione avviene dall’oggi al domani ma è sempre il frutto di un processo di sedimentazione che porta al cambiamento. Così è nella storia e così è nell’innovazione scientifica e tecnologica che ci sta coinvolgendo in questi ultimi decenni. Per assicurare, però, una crescita innovativa diffusa e coerente non dobbiamo essere avidi ed egoisti. Per questo l’innovazione deve essere “aperta” e multidisciplinare di modo che le conoscenze acquisite possano contaminarsi e fondersi tra loro.
Nello scontro tra autoritarismo e democrazia la rivoluzione digitale rimane nel mezzo, perché questa è apolitica e priva di ideologie ma non può essere priva di regole, norme che la esaltano senza limitarla. Per lo sviluppo dell’innovazione e il propagarsi del digitale, tuttavia, è essenziale la circolazione della cultura e questa, difficilmente, può avvenire all’interno di regimi illiberali, autoritari e privi della necessaria spinta verso il benessere dei cittadini che esiste al di là e a prescindere da ogni condizione tecnologica.